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forum: il pensiero malato e le intermittenze del cuore

di Luca Bandirali e Valentino Faticanti


Riflessioni in forma di discussione intorno a "La parola amore esiste"

LB: Parto con una provocazione...L'amore è il sentimento che una giovane di ottima famiglia, affetta da disturbi nervosi, elabora nei confronti di un uomo che non conosce, un maestro di violoncello frustrato... la donna occupa stabilmente il centro della narrazione: circondata da una realtà ostile, essa cerca rifugio nella psicanalisi, nell' amicizia, nell' innamoramento. Il maggior difetto del film sta nella sproporzione evidente tra gli elementi filmici, contenutistici, e quelli cinematografici: le immagini non respirano, soffocate dall' apparato didascalico. Continuo a pensare a Calopresti come a un regista-scrittore...


la parola amore esiste

VF: Cerco di rispondere alla provocazione...Il film di Calopresti (fin dal titolo, bellissimo) mi sembra giocare esplicitamente sul tema dell' ossessione ( "La parola amore esiste": più che un' affermazione, a me sembra un grido di angoscia...oppure un' interrogativa implicita-esiste...?). L' amore del titolo, poi, sembra davvero riassumere al suo interno il più vasto universo dei sentimenti, o meglio (l' ossessione...) la ricerca spasmodica di simboli e tracce, nel nostro quotidiano, che ci facciano intravedere la possibvilità di una vera relazione/comunicazione con gli altri...sarei quasi tenstro quotidiano, che ci facciano intravedere la possibvilità di una vera relazione/comunicazione con gli altri...sarei quasi tenstro quotidiano, che ci facciano intravedere la possibvilità di una vera relazione/comunicazione con gli altri...sarei quasi teni qualcosa/qualcuno...
LB: Insisto sulla diade amore/pazzia...l' amore come cura ("Marnie" di Hitchcock), o l'amore come malattia ("Adele H." di Truffaut) non interessano al regista nel momento in cui egli comincia a mettere insieme gli elementi che descrivono la nevrosi del personaggio. L' amore è una situazione contingente, che appartiene al personaggio nella misura in cui ne mette in luce i comportamenti maniaci.
VF: Cito Garrel: "...quando parlo delle riprese come una terapeutica, voglio anche dire che si tratta di un gioco. Vi è una terapeutica nel senso in cui tutti sono malati, e gioco nel senso in cui tutti si guardano mentre evolvono, grazie al cinema". Ecco, credo che questo si adatti abbastanza bene anche al cinema di Calopresti ( penso soprattutto a come riprende i suoi personaggi-i silenzi, gli sguardi-in certi momenti sembra di essere davvero davanti ad un cinema-verità, dove la mediazione dell'occhio cinematografico è minima rispetto all'improvvisazione...).
LB: Io trovo che la rappresentazione della malattia mentale sia totalizzante, rendendo satelliti tutti gli ulteriori spunti narrativi che rimangono isolati, e perdono peso e significato. La scrittura, che dovrebbe costituire il punto forte del regista torinese, lascia spesso perplessi in quanto descrive la nevrosi senza poi costruire un vero personaggio.
VF: Chiaramente, dato ciò che ho tentato di dire prima, non sono d'accordo... In quanto alla scrittura, dipende...per esempio, pochi, pochissimi hanno notato (e valutato, di conseguenza) l'importanza, in questo film, della descrizione degli ambienti, che, a mio giudizio, risultano alquanto inediti ( pur trattandosi di esterni di una città fin troppo filmata...)...solo Martone, in Italia, riesce a dare un senso così forte di fisicità ai suoi luoghi


(penso ai vuoti-morte di un matematico napoletano-e ai pieni-l'amore molesto-della sua Napoli, per non parlare della Salita vesuviana...solo che in Martone i luoghi sono agiti dai personaggi che, percorrendoli, li descrivono-in Calopresti, spesso, i protagonisti mi sembrano quasi mimetizzarsi con i colori e le luci degli interni/esterni, quasi a diventare un tutt'uno, ricomposto poi nella fisicità ultima, che è poi quella del fotogramma).
LB: Forse può essere utile, a questo punto, ricollegarsi al primo film di Calopresti: La seconda volta è stato il classico caso italiano, coi sociologi da Costanzo a dire stronzate, le interviste ai terroristi su Famiglia Cristiana e altre amenità. Trovo che fosse un film estremamente equilibrato, cinema narrativo, certo, ma con un buon disegno dei personaggi...oserei dire con una attenzione maggiore per alcuni aspetti della messa in scena (parole, situazioni, psicologie). Calopresti conosce a fondo il personaggio del professore ( Moretti ), sa bene chi è e dove sta andando... VF: Rimando all'ottima lettura retrospettiva curata da Francesca Capobianchi all'interno di questo speciale...qui mi limito a constatare e sottolineare la fortissima continuità esistente, secondo me, tra i due lungometraggi, sia l'uno che l'altro condotti sui binari del caso, degli incontri (mancati e no), sulle intermittenze della comunicazione (e del cuore...); al di là di letture psico-politiche, i suoi film, il respiro e il tempo del suo cinema, mi fanno sempre più pensare a Calopresti come al regista della sospensione... LB: Concludendo (e tentando di riassumere): a me sembra che l'unico spunto che muove la materia inerte de La parola amore esiste sia la decisione del regista di agire nel proprio film, di psicanalizzare la protagonista...il fatto che la terapia non abbia un esito positivo, il fatto che nell'incontro in strada con Bentivoglio il regista-analista manifesti (all'attore e allo spettatore) le proprie difficoltà personali, è forse la chiave di lettura di quest'opera, che appartiene certo ad una fase interlocutoria del percorso autoriale appena intrapreso da Mimmo Calopresti: come l'analista distratto, così il regista sta forse pensando ad altre storie, ad altri progetti... VF: Sintetizzando, mi riaggancio alla frase di Garrel citata poco fa, aggiungendo che il percorso di Calopresti mi sembra inverso a quello teorizzato dal regista francese: la funzione demiurgica del cinema (ovvero, la generalizzazione dell'esperienza filmica nel tentativo di farne un valore universale) viene riportata ad una (forse più semplice) ricerca di autorialità, nel momento in cui egli, con il suo sguardo, tenta di sintetizzare (attraverso il cinema) gli sguardi dei personaggi.



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26 agosto 1998
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