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double team

di Luca Bandirali


"Nei nostri film c'è sempre la sensazione che possa succedere qualunque cosa. Un tipo è seduto serissimo, e un istante dopo può ridere come uno scemo e contemporaneamente ammazzare una decina di persone. È qui il divertimento. "Queste parole di Kirk Wong, uno dei maestri riconosciuti del cinema di Hong Kong, esprimono magnificamente la tensione che anima una scena vitale come quella da cui proviene Tsui Hark, il regista del nuovo film targato Van Damme e intitolato "Double team".
Nell'ex-colonia britannica si producono circa 150 film all'anno (in Italia non se ne fanno più di 90), che circolano quasi esclusivamente nel mercato del sud-est asiatico; si tratta molto spesso di pellicole a basso costo, girate in poche settimane, che hanno un grande successo di pubblico. Tsui Hark è un nome importante a Hong Kong: autore, produttore nonché attore occasionale (ma questa confusione di ruoli é frequente da quelle parti), il 47enne cineasta è conosciuto come "lo Spielberg d'Oriente".
Ha studiato cinema negli USA, ed una volta tornato in patria è diventato molto presto un abilissimo organizzatore, fondando una casa di produzione che costituisce il principale punto di riferimento per i maggiori talenti del luogo. Quello di Tsui Hark e dei suoi amici è un cinema per la massa, autenticamente popolare, che mescola azione, sentimento, comicità, in un insieme disomogeneo ma accattivante che possiede quell'innocenza, quell'ingenuità che le produzioni hollywoodiane hanno perduto da secoli. Il rapporto tra questa bizzarra cinematografia e l'Occidente comincia negli anni '80, ed è subito amore: i film di Hark, John Woo e Ringo Lam diventano oggetti di culto, e John Carpenter è il primo film-maker a rendere omaggio a questi artisti realizzando "Grosso guaio a Chinatown", florilegio di temi e situazioni care all'immaginario di Hong Kong.
Qualche anno dopo Quentin Tarantino, in "Le iene", si ispira dichiaratamente ai film di Lam, quando ormai la sensazione orientale ha spopolato in tutte le videoteche d'America. È ovvio che a questo punto gli Studios cercano di assicurarsi i servigi dei maestri d'Oriente, per rivitalizzare un cinema d'azione scontato e prevedibile: il primo a fare il viaggio transoceanico è Woo, il secondo è Ringo Lam, per ultimo tocca ad Hark; tutti e tre lavorano con l'alfiere delle arti marziali negli USA, Jean Claude Van Damme. L'attore belga è notissimo interprete di pellicole a base di kung fu, e ha svolto una funzione per certi versi preziosa: disponendo di un pubblico numeroso ed affezionato, ha contribuito notevolmente a far conoscere le capacità dei cineasti di Hong Kong.


M. Rourke


Naturalmente il contatto con una cultura ed una dimensione professionale tanto diversa non è stato per loro privo di difficoltà: hanno dovuto confrontarsi con le necessità di un'industria infinitamente più grande (tra l'altro hanno usufruito di budget enormi), e se la loro perizia nella costruzione delle scene di azione pura (si pensi alle sparatorie orchestrate da John Woo in "Face/off") ha trovato convinti estimatori, d'altra parte è stato spesso rimproverato loro un eccesso di inverosimiglianza, di velocità, di incoerenza a livello narrativo.
Ma queste sono esattamente le peculiarità della tecnica made in Hong Kong, e proprio i correttivi apportati dalla produzione statunitense hanno reso le prove occidentali di Lam e Hark non del tutto riuscite; è il problema di uno stile fortemente connotato, che fatica ad adattarsi al ritmo (e allo sguardo) dell'Occidente.
Anche "Double Team" risente in maniera evidente di questa distanza culturale: le grandi coreografie del kung fu, gli splendidi corpo a corpo e le evoluzioni spericolate della macchina da presa costituiscono il meglio di Tsui Hark; tanta grazia però è costretta a trascinare con sé l'inutile zavorra del giocatore di basket Dennis Rodman, un ribelle di plastica molto amato dai ragazzini.
Il film patisce questa presenza ingombrante, che oltretutto richiede uno sforzo a livello di sceneggiatura per moltiplicare i riferimenti alla realtà: a Rodman vengono messe in bocca frasi del tipo "La miglior difesa è l'attacco", "Non ho buona mira" e non sono rare le esibizioni cestistiche, poco importa se al posto del pallone c'è una bomba o addirittura un malcapitato antagonista.
L'effetto comico di queste gag è, almeno per lo spettatore europeo, pressochè nullo, e vanifica il buon lavoro fatto sui personaggi di Van Damme, e soprattutto di Mickey Rourke, che vive una seconda giovinezza cinematografica. Caos organizzato: questa è la formula cara a Tsui Hark, che almeno in un paio d'occasioni (la sequenza della sparatoria al circo, un gioco di luci blu e stacchi rapidi come pallottole, e quella della stanza d'albergo, che pesca dalla grande tradizione orientale dei film di arti marziali) riesce ad entusiasmare.
"Double team", con tutti i suoi difetti, conferma che Hong Kong è senza dubbio uno dei luoghi possibili del cinema del futuro (con Taiwan e Cina, naturalmente); presto non avrà più bisogno di poco illustri "sdoganatori" come Van Damme, e si reggerà sulle proprie gambe.




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18 maggio 1998
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