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il cinema e l'arte del romanzo

3. il caso "Don Chisciotte"

di Luca Bandirali


"Uno psicologo moderno potrebbe trovare anche altre interpretazioni della singolare pazzia di don Chisciotte. Ma questi problemi non toccano il Cervantes; sulle cause della pazzia di don Chisciotte egli non ci dà altre spiegazioni che questa: ha letto troppi romanzi di cavalleria e gli hanno stravolto il cervello."

(dal saggio "Dulcinea incantata" di Eric Auerbach)

Che Miguel de Cervantes (1547-1616) abbia fissato le prime coordinate del romanzo europeo è fatto stimabilissimo e degno di studio ed attenzione: ma in questa sede si vuole (soltanto) rendere conto delle parentele del "Don Chisciotte" con il cinema, elaborando una sorta di nota a margine dell'imponente mole di saggi letterari che da quattro secoli ne indagano forma, struttura, influenze.
L'hidalgo della Mancia ha conosciuto ben pochi traduttori nella cerchia dei cineasti (molti di più tra gli uomini di teatro); vi si accosta Pabst nel 1933, alla prima esperienza francese, mettendo in scena alcuni episodi della vicenda del cavaliere errante con la consueta eleganza. Nel 1957 è la volta di Kozintzev, che oppone polemicamente la spada di don Chisciotte all'arroganza del regime sovietico. Da allora risulta un solo adattamento cinematografico: è del 1984, ed è sceneggiato da Tullio Kezich e Rafael Azcona. Si tratta di una produzione tutta napoletana, non priva d'interesse, con Scaparro alla regia e Peppe Barra, Marina Confalone e Pino Micol a vestire i panni dei protagonisti del romanzo. Ma al di là delle trasposizioni dichiarate, don Chisciotte resta un punto fermo dell'iconografia eroica cui la cinematografia ha attinto dalle origini ad oggi; se nel linguaggio comune e nella cultura spicciola l'eroe della Mancia è simbolo di rivolta anarchica, una lettura più accorta ed informata del Cervantes apre prospettive d'interpretazione (anche cinematografiche) più complesse. Si capisce allora come il nostro hidalgo, che per un sovradosaggio di letture cavalleresche dà fuori di matto, anticipi la meraviglia delle visioni del nostro tempo: cosa sono altrimenti gli incantamenti che lo circondano e gli restituiscono una realtà deformata se non le finzioni di un'arte talmente elaborata da riprodurre la vita stessa? Certo dal punto di vista mitografico il capolavoro di Cervantes costituisce un vero patrimonio, saccheggiato in egual misura da critici (scrive Enrico Ghezzi : "…sono fedele all'idea della rivolta in sé. 'Zero de conduite', Jean Vigo. O piazza Tien An Men, il momento più alto: il grande gesto muto, totalmente libero, che si aspetta il nulla." ) e da registi (come non pensare all'immenso "Settimo sigillo" di Bergman?



Non è forse don Chisciotte quel cavaliere riparatore di torti che affronta persino la morte? Non è Sancio Panza il suo scudiero fedele dalla saggezza pratica?).
È scoperta recente che Totò abbia accarezzato per anni il progetto di una riduzione per lo schermo del romanzo spagnolo, e che abbia desistito per i soliti problemi di copertura finanziaria. Ma c'è un autore cui la rinuncia al "Don Chisciotte" dev'essere costata molto di più, se è vero che ne aveva fatto il sogno di una vita: è Orson Welles, che inizia le riprese nel 1957 e batte l'ultimo ciak nel 1972.

Don Chisciotte

La gigantesca quantità di materiale girato non ha mai raggiunto la fase di montaggio; alcuni frammenti dell'opera hanno fatto la loro comparsa a Cannes '86, provocando il rimpianto generale per la perdita di un vero tesoro del cinema. Welles aveva dato inizio all'operazione pensando ad un lavoro per la televisione della durata di mezz'ora; ma, così come accadde a Cervantes (che aveva intenzione di scrivere una semplice novella e licenziò poi un ricco ed articolato romanzo), l'impresa conquista a tal punto l'autore americano da crescere costantemente fino a richiedere chilometri di pellicola.
Interpretato da Orson Welles nella parte di se stesso, da Patty McCormack nella parte di Dulcinea, da Akim Tamiroff in quella di Sancio e dal messicano Francisco Reiguera nel ruolo del cavaliere errante, il film non segue il romanzo, mantenendo però numerosi dialoghi originali e riproducendo lo spirito dei personaggi: s'inizia con Welles che legge Cervantes alla piccola McCormack, quindi è Don Chisciotte ad irrompere nell'azione, spostata dalla Spagna di fine '500 ai giorni nostri.
La bambina è la bella Dulcinea che, cresciuta, va ad affiancare il Cavaliere dalla Trista Figura. Sembra che appena prima di morire, nel 1985, Orson Welles pensasse ancora all'edizione finale del suo "Don Chisciotte".




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15 maggio 1998
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