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il cinema e l'arte del romanzo

2. alle origini della riflessione critica sul rapporto tra cinema e letteratura

di Valentino Faticanti


Fin dalle origini il cinema (malgrado tutti i tentativi fatti nella direzione di una originalità di espressione) è stato condizionato (senza soluzione di continuità) dalla preesistenza del testo letterario. La ricerca (necessaria) del fin troppo citato specifico filmico non ha quindi potuto negare il fatto che il cinema è stato (fin dai suoi esordi) una questione di traduzione, e che comunque abbia sempre avuto a che fare, nella costruzione del proprio discorso, con modelli e strutture che derivavano direttamente dalla narrativa.
Possiamo tentare, allora, di ripercorrere le linee di questa relazione tra cinema e letteratura, ripartendole in diversi momenti, tutti comunque condizionati dal predetto maggior debito da parte del primo verso il secondo.
Già all' esordio, infatti, il cinema tende più a "avere" che a "dare" rispetto alla letteratura (e al teatro): in pratica, esso assume un atteggiamento del tutto funzionale al "bisogno di storie" del pubblico contemporaneo, e, simultaneamente, cerca di ottenere da questa pratica una sorta di nobilitazione del nuovo mezzo, rifacendosi a dei tipi letterari perfettamente assimilati dalla cultura del tempo, dal romanzo popolare ai classici (non dimentichiamo certo l'importanza dell'azione di svecchiamento operata dal cinema nei confronti dei codici del romanzo ottocentesco, ormai sfinito dalle avanguardie, ma sottolineiamo tuttavia il fatto che anche ciò derivava da un'esigenza del tutto strutturale: i primi film, durando solo pochi minuti, dovevano poter contare su stereotipi che non lasciassero adito a problemi di riconoscibilità).
È proprio il cinema italiano che sferra la maggiore offensiva al corpus letterario internazionale, curandosi poco della fedeltà e dell'autorità degli originali:



la biblioteca dell'italiano medio viene praticamente saccheggiata, ma i risultati sono poco notevoli, data anche la netta derivazione teatrale dell'impianto e, soprattutto, la scarsità dei mezzi.
È proprio il cinema italiano che sferra la maggiore offensiva al corpus letterario internazionale, curandosi poco della fedeltà e dell'autorità degli originali: la biblioteca dell'italiano medio viene praticamente saccheggiata, ma i risultati sono poco notevoli, data anche la netta derivazione teatrale dell'impianto e, soprattutto, la scarsità dei mezzi.
Più importante, a questo riguardo, segnalare l'indignazione della quasi totalità degli intellettuali dell'epoca, scandalizzati dal carattere (a loro giudizio) dissacratorio di queste riduzioni: bisognerà infatti aspettare il 1914, quando D'Annunzio accettò di scrivere le didascalie per Cabiria di Pastrone, per salutare il primo vero incontro tra uno scrittore e la nuova arte. Sarà comunque l'avvento dei futuristi a sancire l'affermazione del cinema inteso nelle sue specifiche potenzialità e finalmente libero da ogni complesso di inferiorità rispetto alla letteratura: nel decennio successivo è proprio il cinema a proporsi come punto d'incontro delle teorie delle avanguardie, che vedono in esso l'arte che può racchiudere (e andare oltre) tutte le arti. È l'avvento del sonoro a cambiare completamente i rapporti di forza in campo: un grandissimo numero di letterati comincerà a prodursi in collaborazioni con il cinema, elaborando non più solo soggetti, ma anche sceneggiature e dialoghi: non è un caso che è proprio in questo periodo che si inaugura la critica cinematografica, rappresentata per lo più da intellettuali prestati al cinema a livello di giornalismo.




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15 maggio 1998
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