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cinema 1997

4. 1997 poteri femminili

di Luca Bandirali


Gli osservatori più attenti del grande circo mediale sono da tempo concordi nel sostenere, a proposito del cinema d'oggi, il concetto di cross-over (accostamento, commistione, contaminazione); è un fatto che dagli anni '80 in poi autori come Lynch e Zemeckis, raggiunti successivamente da Tarantino, Raimi e Rodriguez, abbiano manifestato un'inclinazione forte alla rilettura incrociata dei tipi, ed abbiano introdotto il frullato dei generi come metodo. I loro film hanno sovente provocato una sensazione di smarrimento, divenuto condizione naturale di una critica alla ricerca di punti di riferimento solidi, quelli che il cinema contemporaneo non offre più; meno spaesato è il pubblico, che evidentemente, a differenza delle elites culturali, consuma linguaggi contaminati in dosi massicce ed ha raggiunto l'assuefazione al nuovo.

soldatojane

Mentre "Dal tramonto all'alba" di Robert Rodriguez si appresta ad essere l'oggetto della riflessione teorica dei prossimi anni, sarebbe forse il caso di raccogliere quelle argomentazioni secondarie che spostino il dibattito critico dai generi ai ruoli. L'anno di cinema appena trascorso sembra offrire, in proposito, interessanti esempi di cross-over; questa breve analisi si occupa in particolare di personaggi femminili, e prende in esame un piccolo gruppo di film in cui l'attrice, intesa come parte integrante dello specifico cinematografico, viene programmaticamente posizionata fuori ruolo.
Ciò accade in "Spy" di Renny Harlin e in "Soldato Jane" di Ridley Scott, entrambi usciti, e più o meno ignorati, nel 1997. Nel primo Geena Davis è un ex-agente della CIA che, dopo una perdita di memoria, è costretta a tornare nella mischia; nel secondo Demi Moore è un ufficiale della U.S. Navy addetta ai servizi informatici che, grazie alle oscure macchinazioni di una politicante arrivista, sperimenta le durezze del famigerato corso di addestramento dei Marines.
Volendo riferire queste storie di donne ad un antefatto recente, non si può dimenticare "Thelma & Louise", film paradigmatico, seminale addirittura; Ridley Scott nel 1991 imponeva il proto-femminismo spettacolare in forma di road movie (concordo appieno con Valentino Faticanti quando sostiene che "Soldato Jane" non è episodio degenere nella filmografia del cineasta americano). A ridefinire le coordinate di "Thelma & Louise", la cui idea portante è la rappresentazione della shooting massaia, ha in seguito contribuito "Butterfly kiss" di Michael Winterbottom, parabola allucinante di donne in fuga, creature aliene che conducono esistenze di margine. E' chiaro che l'operazione Spy/Soldato Jane si differenzia radicalmente dai film che ho citato in qualità di riferimento, non solo nell'esito artistico, quanto piuttosto nell'opzione poetica che informa l'opera cinematografica attenendosi ad un'ottica reinterpretativa rinunciataria.
Harlin e Scott realizzano fondalmente un intervento di riuso, adottando senza remore gli involucri dismessi del cinema d'azione più stilizzato, più patinato; l'intero impianto di "Spy" sembra sorgere dalle rovine del set di "Arma letale", mentre "Soldato Jane" reimpiega sfacciatamente le locations di "Rambo". In questa scatola piena di rottami gli autori calano l'Elemento Destabilizzante:



l'idea che la donna possa essere superata ("L'uomo è qualcosa che deve essere superato.
Che avete fatto per superarlo ?", Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra), in un gioco di inversioni di ruolo tanto ovvio quanto sterile. Il prodotto finito è triste parodia, indesiderata versione caricaturale del cinema commerciale medio di marca statunitense. Scendendo ai dettagli, possiamo considerare "Spy" come una sorta di contenitore di rovesciamenti: Geena Davis conduce l'azione ed invade lo schermo, supportata da una qualificata compagnia di valletti solerti; Larry Fishburne veste i panni di un investigatore scombinato, e Harlin non manca di sottolinearne la fragilità, cui il personaggio femminile forte oppone una proterva solidità (es. : Geena Davis si introduce nel covo degli agenti della CIA, Fishburne rimane in trepida attesa nei paraggi). Quello che il regista applica ai caratteri è una sorta di schema distributivo perfettamente capovolto che riserva alla figura del Marito lo spazio circoscritto di una manciata di sequenze, in cui l'attore XXXXXXX si dispone docilmente in un angolo, a significare l'immagine distante del Privelegio Annullato (dalla prestanza della Moglie, s'intende).
Del tutto analogo è il ritratto familiare che si delinea in "Soldato Jane"; dal momento che Jane ha la stoffa di un Marine, il Marito è un uomo senza importanza, una grigia comparsa che prende la parola stancamente, senza alzare la voce, quando le decisioni sono già prese. Al di là della banale rappresentazione dell'intrallazzo politico che fatalmente determina le vicende umane (Scott sembra ancora aderire - cinematograficamente - alla dietrologia più retriva, e crede di poter dare un volto riconoscibile, in forma di segno, al Potere), ciò che francamente sconcerta in "Soldato Jane" è questa partecipazione appassionata al culto della disciplina, dell'onore e di altre amenità, un culto celebrato con tono solenne, cui si sovrappone una certa fierezza nel momento in cui la donna-soldato dimostra di possedere la stessa predisposizione all'odio e alla violenza cieca, la stessa fede sconsiderata nell'esistenza di una buona guerra di un pari grado di sesso maschile.

spy

Scrive Orio Menoni su Segnocinema n.86: "Il corpo femminile nel cinema si riduce a pura funzione; non potendo essere, in quanto troppo ingombrante, corpo-femmina, salda istituzione, pienezza morale, esso diviene ritagliabile, distruttibile, movie machinecompletamente dedita al proprio compito".
"Spy" di Renny Harlin e "Soldato Jane" di Ridley Scott sono le tappe (per il momento) avanzate di questo percorso di decostruzione dello specifico cinematografico a livello di ruoli, e veicolano un modello di cinema involuto ed ottuso.




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5 febbraio 1998
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