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marco bellocchio

3. intervista a bellocchio

di Valentino Faticanti


D: La sceneggiatura è sempre uno dei punti più importanti nella realizzazione di un film, e non capita spessissimo che un regista sia anche sceneggiatore. Quali sonoi problemi che bisogna affrontare quando si tratta di un testo letterario o teatrale, ovvero, quale deve essere l'approccio culturale e intellettuale dell'autore?

R: Nel caso dell' HOMBURG, io ho fatto questo film sulla base delle emozioni provate a teatro di fronte a questo dramma, emozioni che riguardavano me stesso: i turbamenti, la bellezza, la ricerca dell'arte e di un'umanità più piena... è chiaro che subito dopo, di fronte a questa fortissima emozione, il primo problema è quello del linguaggio... riguardo le trasposizioni, il cinema ha spesso fallito facendo del "teatro fotografato", nel trasferire esteriormente la grandezza di un testo in qualcosa che di cinematografico aveva solo la ripresa esteriore... non è solo un problema di riduzione delle parole (la mia versione riduce di una metà il testo di Kleist-il film dura poco più di 80 minuti), è proprio un problema che riguarda le parole stesse, ovvero, cercare l'essenzialità drammaturgica di Kleist, da trasferire poi nel cinema... bisogna quindi cercare le parole essenziali, espellendo tutto l'aspetto "letterario", e portare in prosa il testo, nel senso di un dialogo più palpitante, più adatto al cinema... io non credo a quelle operazioni americane che si pongono sempre il problema di cinematografizzare il testo teatrale, aggiungendo in modo esteriore tutta una serie di passaggi che dovrebbero dare aria e respiro al testo: questa è una operazione fallimentare in partenza, poiché lo specifico cinematografico qui va ricercato nel testo stesso e soprattutto, quando è possibile, nella grandezza della interpretazione che, imponendosi in modo cinematografico, in qualche modo fa diventare cinema ciò che era teatro (vedi l'uso del primo piano, p.es.).

D: Il clima del tuo HOMBURG (dal punto di vista storico) ci ha fatto pensare a SENSO di Visconti e alle AFFINITÀ ELETTIVE dei Taviani: a chi di loro ti senti più vicino, o comunque, ci sono altri autori a cui tu ti riferisci?

R: SENSO e LE AFFINITÀ ELETTIVE sono ovviamente due film molto diversi... in SENSO eravamo in un'epoca in cui la storia del passato veniva interpretata rispetto al presente, c'era più il senso della storia: Visconti, secondo una tradizione che si rifaceva alla storiografia marxista, ha fatto un'opera di ricostruzione grandiosa ma anche verosimile (oggi questa grandiosità non sarebbe più possibile)... Visconti poi vi ha introdotto una vicenda sentimentale, modificandola anche rispetto al testo, forse per la rigida censura democristiana, e questa poi è la parte più personalizzata rispetto all'autore... ecco, li' c'è una dimensione storica che assume assai più importanza rispetto ai Taviani, dove la storia del passato è considerata in maniera secondaria rispetto al romanticismo e ai sentimenti... riguardo questo discorso, l'HOMBURG è un testo estremamente personalizzato, dove si potrebbe pensare che la storia sia del tutto assente, ma ciò non è del tutto vero: pensiamo all'idea romantica dell'eroe generoso ma inevitabilmente perdente, che è qualcosa a cui personalmente non credo, ma che rappresenta il retaggio dell'epoca di Kleist (ricordiamo il suicidio di Kleist con la fidanzata, vera e propria rappresentazione esistenziale di un ideale, e pensiamo al lieto fine apparente dell' HOMBURG, ovvero alla sconfitta di un eroe rispetto al formalismo e alla spietatezza della legge).

D: Quindi, a livello stilistico, è leggittimo allineare l'HOMBURG a capolavori del passato come SENSO, pur fatte le debite differenze (da te rilevate) riguardo i mezzi economici...

R: In SENSO Visconti era al pieno del suo stile realisticamente compiuto,mentre nel mio lavoro c'è tutta una serie di sortite nel sogno, nell'indefinito, anche attraverso un montaggio estremamente secco, essenziale, dove ciò che è inutile viene espunto abbastanza rigorosamente... Visconti, a modo suo, in quell'epoca, aveva un senso della storia che secondo me non andrebbe mai annullato...

D: Tu hai accennato al sogno... sappiamo che ci sono degli agganci tra l'HOMBURG e il tuo film precedente, IL SOGNO DELLA FARFALLA, dove il protagonista ne recita una parte... nel tuo ultimo film il richiamo all' inconscio è evidente (vedi il sonnambulismo del protagonista): tu rispetto al testo hai caricato questo discorso o ti sei più o meno attenuto ad esso così come Kleist autorizza?

R: L'aggancio con IL SOGNO DELLA FARFALLA è chiaro perché anche li' c'è un muoversi nel silenzio del sogno... anche se è evidente che il teatro sia fatto di parole, il testo di Kleist affascina anche per il silenzio... può sembrare un paradosso: il cinema (e anche la vita, forse) è sempre una sfida contro le parole, una sfida tra la coscienza e la razionalità, quindi il cinema mi è sembrato un mezzo espressivo che potesse sfidare in modo affascinante questo testo fatto di parole... mi viene in mente un racconto che ho riletto recentemente, IL SILENZIO DEL MARE, dove troviamo proprio un esempio di comunicazione diversa rispetto a quella fatta di domande e risposte...



D: Forse la vera attualizzazione dell'HOMBURG potrebbe consistere proprio in questa ribellione all'eccesso di parole caratteristico della nostra epoca, al fatto che viviamo sommersi da una crudeltà degli avvenimenti che ogni giorno sembra voler attentare ai nostri sogni...

R: Nell'HOMBURG c'è proprio la contrapposizione tra la libertà e la potenzialità dell'inconscio e della fantasia contro la spietatezza formale della legge e dell'ordine, che contiene però un'insanabile contraddizione di fondo: la legge è inevitabilmente astratta (perché riguarda tutti) e quasi inevitabilmente ingiusta, pretendendo di essere giusta, ed è anche necessaria, se no vivremmo in un mondo di bestie... il problema è che, pur riconoscendo alla legge una sua legittimità, bisogna comunque difendere i propri sogni, intendendo non solo la consolazione del sogno notturno, ma anche le nostre più alte ispirazioni: se pensiamo alla brutalità e alla volgarità della nostra società mediatica e a tutte le ingiustizie che ci circondano, ciò potrebbe portarci ad una ribellione distruttiva, comprensibile ma non giustificabile... credo che l'HOMBURG possa suggerire proprio la ricerca della difesa della propria identità inconscia, ma avendo anche l'abilità e la prudenza di non farsi schiacciare dalla legge.

D: In un'intervista, parlando della dimensione anarchica, tu hai detto: "...la dimensione della distruzione e della tabula rasa non mi interessa più... la mia ormai lunga ricerca psicoanalitica mi spinge a lavorare in una dimensione di rifiuto interno al conformismo di questa società, e questa ricerca non mi obbliga alla disobbedienza civile... credo che sarò sempre un ribelle, ma sono convinto che oggi lo si possa essere senza sputare in faccia ai professori..."

R: Qui entriamo in un campo di grandi questioni... è chiaro che io mi pongo da una posizione privilegiata, che è quella della ricerca artistica, che è indubbiamente una posizione aristocratica... non è facile fare delle comunicazioni di tolleranza a chi oggi, in questo tipo di società consumistica, non ha lavoro, non ha nulla... però è chiaro che rispetto al passato un certo tipo di ribellione anarchica-distruttiva ha sempre preparato nella storia la restaurazione, o quantomeno alla ricostituzione di una classe dirigente che ha semplicemente corretto alcune ingiustizie particolarmente evidenti... da un punto di vista molto semplice e di principio io, che cerco di lavorare col cinema sull'animo umano, credo che un certo tipo di ribellione produca al limite quello che analiticamente si potrebbe chiamare l'identificazione col padre, quel padre prima odiato, e basterebbe considerare quanti ex-ribelli contiene l'attuale classe dirigente, persone che solo poche decine di anni fa erano dall'altra parte della barricata...

D: Pensi di approfondire le tematiche contenute nell'HOMBURG nei tuoi prossimi progetti?

R: Il nostro lavoro ha una sua precarietà: fare un film significa anche trovare i soldi per farlo... il progetto a cui sto lavorando attualmente è una libera trasposizione da una novella poco nota di Pirandello, LA BALIA, che però mi ha sempre affascinato per la sua storia, che è il rapporto/scontro tra una madre naturale e la balia che è costretta a chiamare per allattare il suo bambino, e come questo bambino metta in crisi i suoi genitori naturali... nel testo di Pirandello è tutto rappresentato in modo realistico-veristico: il padre deputato è una specie di pupazzo fortemente ridicolizzato, la madre riecheggia la vera madre di Pirandello (che poi finirà in manicomio), e poi c'è la balia che è una specie di personaggio animalesco... io ho voluto riscattare il testo da questa brutalità veristica, per mettere a fuoco quel momento così fondamentale per ognuno di noi, e cioè i primi mesi di vita, quando il rapporto con la madre è tutto inconscio, indefinito... è il momento in cui si forma il nostro caratttere, un momento decisivo per il resto della nostar vita.




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11 dicembre 1997
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