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le immagini necessarie

1. intro

di Valentino Faticanti


Le prime considerazioni sul "cinema necessario" ci vennero in mente durante la visione di Natural Born Killers di Oliver Stone, diversi anni fa: un film per molti aspetti quasi insostenibile, ma che tuttavia risultava decisamente importante in quanto rappresentativo di una specie di linea di confine del cinema, una macchina tritatutto nutrita da un intero secolo immaginario filmico che, nella sua azione distruttiva, faceva balenare un grosso interrogativo sulla stessa possibilità di girare altri film...

Cinema, quindi, come eterno rifacimento di se stesso, da sempre: avvitamento infinito sul suo sdoppiamento originario...tutto il discorso sui corsi e ricorsi nel cinema é magnificamente racchiuso nel capolavoro di Romero del 1968, La Notte dei Morti Viventi (...altro grande titolo per questo articolo...): il cinema stesso come notte senza fine popolata da zombies che non possono fare a meno di ritornare, magari remakati, colorizzati, digitalizzati...

scream

Non a caso, tra le ultime cose viste, ci é apparso di importanza capitale Scream di Wes Craven, uno dei film più esplicitamente teorici degli ultimi anni: magistralmente costruito su citazioni e rimandi da decenni di horror movies, il film decreta la fine di questo genere testimoniando l'impossibilitá di dire ancora qualcosa di nuovo, e la visione per lo spettatore diventa qualcosa di molto simile al perverso gioco subito dalle vittime del serial killer cinefilo...

Troppo facile poi, a proposito di giochi, altalenarsi tra dichiarazioni di presunta morte del cinema (il quale avrebbe espresso il massimo delle sue specifiche potenzialitá espressive nei suoi primissimi anni di vita) e provocazioni riguardo la



sua probabile inesistenza(Greenaway): sta di fatto che, ragionando in termini più che realistici, ciò che ci ostiniamo a chiamare cinema é attualmente una grande e potentissima fabbrica (con prevalenza di capitali nordamericani) dove si continua costantemente a riciclare il già visto, preoccupandosi solo di variare minimamente schemi collaudati quanto consunti; in lontananza, al margine di questa industria, si muove una sparuta e solitaria pattuglia di autori che incessantemente, nei propri film, ci aggredisce e ci costringe a ridefinire i nostri canoni estetico-mitologici, facendoci leggere la realtà con altri occhi, creando letteralmente nuovi mondi...

Inevitabile, allora, di fronte ad una stragrande maggioranza di registi che fingono di fare cinema (come ha acutamente osservato E.Ghezzi), non restare felicemente stupiti davanti alle emozioni regalateci dall'ultimo capitolo dell'opera di Takeshi Kitano, Hana-Bi: é sempre più raro, infatti, imbattersi in una tale forza filmica, dove l'urgenza di un cinema che si interroga (e ci interroga) si lega saldamente e intensamente con un linguaggio che fa dell'essenzialità e della semplicità i suoi principi fondamentali, e dove veramente ogni singola sequenza ci appare davvero necessaria, nel suo narrare con disarmante sincerità l'ineluttabile compresenza, nelle nostre vite, del bene e del male, e, soprattutto, l'accettazione di questo attraverso la coscienza della nostra finitudine...




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29 ottobre 1997
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