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Il barbiere di Siberia

di Luca Bandirali


Borioso, nazionalista, retorico: con la nostalgia negli occhi, Nikita Mikhalkov gira un film indifendibile dalla prima all'ultima inquadratura.



L'orgoglio russo è ormai l'unico nutrimento di un autore che una volta faceva il cinema («Schiava d'amore»), mentre ora con mano di decoratore kitsch erige il monumento europeo al kolossal volgare. «Il barbiere di Siberia» è un ritrattone storico ambientato a cavallo fra due secoli e fra due continenti. L'ottimo Ghezzi scriveva, a proposito di «Barry Lyndon», che il film di Kubrick non aveva necessità di chiamarsi «Settecento»; ebbene, la debolezza di Mikhalkov si scopre a comiciare dalle didascalie, dal voler contestualizzare a parole quel che s'offre allo sguardo. Ed è un'offerta traboccante nella quantità, di un regista che non ha intenzione di negarsi nulla per realizzare una grandeur che vuol essere arte scintillante: interni elegantissimi e spazi a perdita d'occhio, star americane (Julia Ormond, Richard Harris) e migliaia di comparse a dare un volto al popolo russo. Il modello è «Zivago», David Lean: ma quanto svilito, quanto impoverito dell'hollywoodiana fierezza! Le vicende del cuore di questa signora Jane, ex donna di bordello, prendono la forma d'una lettera, secondo lo schema classico del racconto in prima persona che dà concretezza sia al Narratore (Jane, il cui punto di vista coincide con quello dell'Autore Mikhalkov) che al Narratario (il figlio della donna, cadetto in America, il cui punto di vista coincide con quello dello Spettatore). Gli effetti principali di un siffatto schema sono: solennità (nel tono), pathos (nei contenuti), ridondanza (le parole descrivono esattamente ciò che le immagini rappresentano). Nel lungo flash-back che racchiude i temi portanti del film, si celebra la grande Russia zarista col piglio d'un paesaggista sognante dalle tinte pastello a dal pennello malinconico: l'oro degli estradossi delle cupole moscovite, le prospettive, i cieli, gli eleganti saloni da ballo sono tutti tesori di un'epoca meravigliosa e irripetibile. I testi sono l'opera di un romanziere dalla penna servile e imbevuta nel sentimento popolare, d'un poeta antimoderno dalle rime baciate: le situazioni tipiche con le parole appropriate, le frasi celebri, e pure uno humour internazionale che toglie ai personaggi l'innaturale rigidità. Per Nikita Mikhalkov queste sono cose belle, che qualificano il prodotto cinematografico come forma d'arte: quello del «Barbiere», in verità, è piuttosto un intrattenimento costoso, orrendamente imbellettato per fingere un'eleganza che neanche rasenta. Oleg Menchikov, nei panni dell'ufficiale che s'innamora di Jane, è un manichino scoordinato che tira per i capelli una performance indecente; il suo personaggio è


un coacervo d'insulsaggini sull'anima russa (fin dal cognome Tolstoj, che fornisce lo spunto per loffissime gag). Il rapporto sentimentale viene poi inspiegabilmente infarcito di luoghi comuni sul confronto tra la cultura europea e quella americana: ma il Mozart agitato da Mikhalkov è un santino irriconoscibile, che non merita l'uso folkloristico, ruffiano, che se ne fa nel «Barbiere»: Bertolucci con Verdi, Benigni con Offenbach, persino Dario Argento, hanno saputo trasformare l'opera lirica in citazione interna, densa di allusioni alla macchina scenica. Qui invece si cerca l'impatto seduttivo col pubblico mediante scelte spettacolari: le scene di massa (così statiche, e deprimenti però!) e la durata abnorme. Sulle prime, in parte si è già detto: non Kurosawa dietro quelle adunate zariste, ma neanche il cinema del Terzo Reich, dalle coreografie smaglianti seppur lugubri. Sulle tre ore di proiezione si può dire che è tempo sottratto alla vita: il fatto è che il «Barbiere» batte un ritmo senza variazioni. Le rare occasioni in cui il regista russo s'industria nel costruire qualche minuto di cinema s'annullano nella girandola irrazionale e variopinta di facce, parole e cose; l'incontro della coppia nell'alcova, ad esempio, pone in essere una vaga idea del gioco degli assi di ripresa, e ci si diverte a vedere come il regista nasconda il viso di Jane che parla dietro la nuca di Tolstoj; curioso è anche il ricorso alla fotografia come elemento narrativo in grado d'imprimere le svolte grandi e piccole della vicenda. Tutto ciò, è chiaro, si nota a sprazzi, tra il disappunto e il tedio. Il 1999 ci ha regalato libri di mille e più pagine come quelli di Don Delillo e Pynchon, e film considerevolmente lunghi; ma Mikhalkov ha così poco da dire che nel volgere di pochi minuti anche lo spettatore meno esigente ha già capito tutto, e si dispone alla più stoica delle sopportazioni.



Il barbiere di Siberia
di : Nikita Mikhalkov
RUSSIA 1998


Produzione: Intermedia Film Distribution/Worldwide Distribution
Scritto da: Rustam Ibragimbekov, Nikita Mikhalkov
Interpreti: Julia Ormond, Oleg Menshikov, Richard Harris, Aleksei Petrenko.
Musica: Eduard Artemyev
Durata: 180 min.


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19 maggio 1999

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