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La fortuna di Cookie

di Luca Bandirali


Robert Altman ha detto di sé: "Il mio bersaglio principale credo sia la cupidigia umana. Per rappresentare la commedia nera del mondo mi sembra giusto rifiutare la tragedia in senso tradizionale. Preferisco raccontare una fiaba, togliendole ogni colore cupo, anzi tingendola di sferzante ironia".



E una favola è il suo ultimo film, "La fortuna di Cookie", di pregiatissima fattura e stile sublime. L'ambiente è quello della provincia americana, nel profondo Sud, luogo geografico e cinematografico ("Un tram che si chiama desiderio", "Mezzanotte nel giardino del bene e del male"). Se le metropoli s'assomigliano tutte e finiscono per parerci familiari, altro invece è il carattere di queste cittadine meridionali che s'allungano pigramente nella pianura, esotiche "enclaves" dai riti a dalle abitudini immutabili. Questo carattere si può chiamare persistenza della memoria, ed è un dato essenziale per entrare nella "zona morta" di Holly Spring, Mississippi, ove si svolgono le vicende di questo film. In una prima parte, Altman passa in rassegna i molti personaggi, bloccati nei gesti della quotidianità, e introduce le suggestioni ambientali sopradescritte; la polvere che si posa in eterno sulle case e sulle persone è una buona metafora per raccontare questa soffitta d'America, ma va bene pure il blues: il giro d'accordi ripetuti che nasce da una condizione dell'anima (ferita) ha lo stesso ritmo dell'esistenza di Cookie, vecchia signora bianca, e di Willis, il buon nero che teneramente l'accudisce nell'attesa di una morte talmente lenta e dolce a venire, da essere desiderata senza disperazione. Completano un mondo densamente popolato (tutti i film di Altman, com'è noto, sono piuttosto affollati) le tre nipoti di Cookie: l'egocentrica e dispotica Camille (Glenn Close), la vaneggiante Cora (Julianne Moore), la giovane ribelle Emma (Liv Tyler).




Ci sono poi l'avvocato del paese, il poliziotto aitante, il bambino curioso, l'enorme cantante nera, a comporre una galleria gustosissima di personaggi minori. Va detto che il personaggio di Glenn Close gioca una parte fondamentale nell'economia del racconto, e capirne il "funzionamento" aiuta molto ad orientarsi in questo piccolo universo altmaniano; passano per la bocca di lei, regista teatrale per hobby, la maggior parte delle allusioni alla messa in scena della vita, e tutta la sua meschinità è quasi un abito del personaggio. Tutto il (micro)cosmo è palcoscenico, per una recita crudele che prende in prestito le parole di "Salomè", in un'ipotesi di rapporto filtrato con la realtà che ricorda un film a tesi come "Il volo della farfalla" di Marco Bellocchio: una persona, Camille, dispone degli altri come fossero commedianti agli ordini di un capocomico e rifiuta di obbedire a leggi che non siano quelle dell'arte. I personaggi-attori di Altman attraversano di continuo la soglia che divide realtà e rappresentazione, e i costumi di scena sono le tracce che segnano il passaggio di stato. Fuori dai terreni scivolosi e ameni dell'analisi testuale, resta da sottolineare il fatto che "La fortuna di Cookie" sia opera deliziosa, di gran fascino, in grado di sedurre lo spettatore più esigente in materia d'intrattenimento.



LA FORTUNA DI COOKIE
di : Robert Altman
USA 1999


Produzione: MOONSTONE ENTERTAINMENT
Scritto da: Anne Rapp
Interpreti: : Liv Tyler, Chris O'Donnell, Julianne Moore, Glenn Close
Musica: David A. Stewart
Durata: 118 min.


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14 aprile 1999

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