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Out of sight
stellastellastella
di Luca Bandirali


Si moltiplicano a vista d'occhio gli estimatori dei film americani a base di armi tirate a lucido, fughe in auto e dialogo "sporco"; tutto merito di Quentin Tarantino, che con "Pulp fiction" ha fulminato una generazione di cineasti, per sempre (?) convertiti al credo dell'ironia incendiaria.



Nessuno degli epigoni perņ sembra possedere lo spessore adeguato per andare oltre l'imitazione; di tutt'altra pasta è fatto invece Steven Soderbergh, il regista di "Out of sight", un americano dalla cultura cinematografica europea, dallo stile freddo e analitico. Wenders, anni fa, da presidente di giuria a Cannes alzņ la voce per far premiare "Sesso, bugie e videotapes", fortunato esordio di Soderbergh; ora l'ex-ragazzo prodigio torna in pista con un adattamento da Elmore Leonard, lo scrittore-culto di Tarantino. "Out of sight" è un film importante, che abbina la nuova maturità di "Jackie Brown" ad una ricerca formale che non manca di elementi originali. I tre ambiti di ricerca sono: il tempo cinematografico, la sintassi del film, la fotografia. Il tema è quello dell'amore impossibile tra un rapinatore ed una donna-sceriffo. Anzitutto il dato più evidente di "Out of sight" è certo il sovvertimento del tempo lineare: Soderbergh adotta una struttura temporale non cronologica (lo stesso procedimento visto in "Pulp fiction"), dunque è possibile cominciare a vedere il film in qualunque momento, per poi recuperare le informazioni al successivo giro della pellicola. A questo tipo di scelta strutturale Soderbergh associa alcune soluzioni interessanti, come la frequenza




ripetitiva, visibile nell'episodio della rapina in banca, che viene proposto in due occasioni; e la prolessi, anticipazione (per immagini) dello sviluppo futuro dell'azione (il contrario del flash-back), che il regista adotta nella scena della seduzione, capolavoro di montaggio. Per quanto concerne la sintassi, l'autore opta per un segno forte di punteggiatura, il fermo-immagine, sapientemente collocato a generare ellissi (ossia fratture più o meno estese nella continuità della narrazione). Altri elementi di linguaggio largamente impiegati sono lo zoom e il fuori fuoco (tecnica che crea all'interno dell'inquadratura zone nitide e zone sfocate), ad affermare l'approccio dichiaratamente moderno alla prassi cinematografica da parte di Steven Soderbergh. A livello di fotografia, è necessario sottolineare con quanta cura si siano differenziate le identità dei luoghi di ripresa; l'azione si svolge a Miami, dove si utilizza la massima esposizione luminosa, e a Detroit, dove predomina la sottolineatura dei grigi, e si ha perdita dei contorni e della profondità di campo. Detto questo, si noterà comunque che la regia affida alla recitazione, anzi alla presenza degli attori, una consistente parte della composizione dell'opera; senza lo specifico apporto di George Clooney molte delle situazioni architettate non godrebbero di quella forza, di quella straordinaria intensità che l'interprete offre con inconsueta misura. In questo senso Soderbergh si riappropria della tradizione hollywoodiana delle grandi coppie (Bogart-Bacall, per dirne una), concedendo uno spazio giustificato ai corpi sulla scena, per poi incanalare attraverso il montaggio l'energia della performance.

OUT OF SIGHT
di Steven Soderbergh
USA 1998


Produzione: UNIVERSAL PICTURES
Scritto da: Elmore Leonard, Scott Frank
Interpreti: : George Clooney, Jennifer Lopez
Musica: David Holmes
Durata: 122 min.


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18 novembre 1998

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