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Salvate il soldato Ryan
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di Luca Bandirali


Steven Spielberg è, tra i registi contemporanei, il più grande sperimentatore del linguaggio cinematografico: protagonista di un'azione incessantemente tesa a forzare i limiti del



Steven Spielberg è, tra i registi contemporanei, il più grande sperimentatore del linguaggio cinematografico: protagonista di un'azione incessantemente tesa a forzare i limiti del mezzo, ad innovare codici espressivi, è noto per l'energia creativa straripante, da artista rinascimentale; a questa unisce la consapevolezza delle dinamiche produttive, e riunisce in sé tutte le figure dell'uomo di cinema. Molti hanno dovuto riconoscere a Spielberg il fiuto manageriale, identificandolo con il miliardario dei dinosauri, di Indiana Jones e quant'altro; ed ecco che nel breve volgere di pochi anni il regista americano regala al pubblico internazionale una "trilogia della Storia" di classe purissima: "Schindler's list", "Amistad", "Salvate il soldato Ryan". E' l'impresa monumentale di un talento sconfinato, che merita l'appellativo di classico della pratica artistica contemporanea: queste opere contengono il sapere fecondo di un secolo di cinema. Spielberg crea nuove forme, si spinge dove nessuno ancora ha messo piede; fuori dagli angusti recinti dell'avanguardia ove dogmi e regole autoimposti isteriliscono l'ingegno, egli piega il sistema a piacimento, ne utilizza le risorse per immaginare altri mondi. La bambina a colori su un cumulo di corpi grigi, la pelle nera di schiavi africani che affiora nell'ombra con squarci rosso sangue, il verde dominante dell'acqua di Omaha beach che il metallo dei mezzi militari diluisce: la forza di questo cinema non nasce dall'ispirazione ad un nuovo umanesimo, celebrato dai patetismi musicali di John Williams, ma è nella capacità di costruire un'epica del nostro tempo attraverso le immagini. La domanda da porsi riguardo al tema di "Salvate il soldato Ryan" dovrebbe essere la seguente: in che misura Spielberg ha interesse nel raccontare il D-day ? La risposta è tutta nella lunga sequenza iniziale, nel fuoco incrociato delle mitragliatrici, nell'urlo dei corpi straziati, nelle geometrie degli spostamenti di truppe. E' la prima volta che queste cose accadono sullo schermo, potete starne certi: ogni suono ha una

qualità diversa, quasi che questi strumenti di morte disponessero di una voce propria, e intanto lo sguardo atterrisce ai profili minacciosi degli ostacoli anti-sbarco, acciaio brunito d'oggetti a reazione poetica che s'impadroniscono del mare. Il genio rifugge le soluzioni di comodo, così Spielberg tende a riprendere l'azione di guerra in continuità, senza ricorrere agli stacchi ripetuti che suggeriscono concitazione e nascondono le pecche di messa in quadro in questo tipo di film. Spielberg non ha paura di mostrare ampie porzioni di spazio dietro il soggetto principale dell'inquadratura, egli domina la profondità di campo fin dove è possibile lanciare lo sguardo; altresì aborrisce il concetto di colossale, dunque utilizza pochi (e anti-spettacolari) totali, sempre a guisa di piccoli riassunti dell'azione. La fotografia è magistrale, toglie i colori superflui e annega i rimanenti in un bagno di tinte sbiadite; incamera la luce in flussi irrazionali, ottenuti togliendo le bandierine di protezione agli obbiettivi della macchina da presa. Nel contempo ogni fatto dinamico ha una resa lievemente discontinua, percettibile senza che si annulli il ritmo dei gesti: in questo caso l'operatore ha dimezzato, e talvolta ridotta a un quarto, la capacità degli otturatori della macchina da presa (normalmente di 180°). Questo è il terreno prediletto dell'agire per il regista americano, che non ha bisogno di dissimulare il problema compositivo con l'abito consolatorio dei sentimenti per tutti (si veda "Titanic"), e che non sporca la propria indiscutibile modernità coi collages divertiti dei fanatici della citazione. Spielberg è sempre più avanti, e mentre ci affanniamo ad interpretare il suo cinema con i rottami culturali di oggi, lui ci disorienta con l'irripetibile.

SALVATE IL SOLDATO RYAN
di Steven Spielberg
USA 1998


Produzione: PARAMOUNT PICTURES
Scritto da: Robert Rodat
Interpreti: Tom Hanks, Tom Sizemore, Matt Damon
Musica: John Williams
Durata: 170 min.


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3 novembre 1998

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