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Angeli per finta
stella
di Luca Bandirali


Cinema americano/cinema europeo: è il tema di un dibattito storico che spesso trova espressione in giudizi frettolosi, in attribuzioni di merito cariche di preconcetti. Per disseppellire le asce di guerra non può esserci occasione migliore del remake americano di un capolavoro europeo: è il caso di "City of angels", rivisitazione firmata da Brad Silberling (il regista di "Casper") di uno dei film più amati di Wim Wenders, "Il cielo sopra Berlino". I signori di Hollywood operano manipolazioni sostanziali sulla materia originale: anzi l'aggirano. Le creature celesti di Wenders e Handke lasciano il posto agli angeli per finta, presenze accessorie di un film che pesca le proprie carte dal mazzo infinito del genere sentimentale; ignorando il nucleo filosofico dell'opera tedesca, gli autori americani inventano un film imbarazzante, senz'anima, terribilmente falso e finanche grossolano. Nelle due ore di proiezione è possibile rinvenire tutto il peggio del cinema commerciale statunitense; il gigantismo senza freni produce un impianto spettacolare superfluo (si vedano le riprese dall'elicottero dei poveri angeli in nero sui tetti dei grattacieli di L.A.), mentre l'influenza dominante risulta essere il filone televisivo dei serial ospedalieri, in un trionfo di cattivo gusto e luoghi comuni sul dramma della coscienza ferita.

City of angels

La regia s'affida a trucchi di terz'ordine: primissimi piani di sguardi talmente liquidi da bagnare lo schermo (la specialità di Nicolas Cage), totali ignobili di schiere d'angeli ben ordinati sulla spiaggia, a suggerire visioni magrittiane (magari "Golconde", mentre tutt'al più ci si ricorda delle copertine dei dischi dei Pink Floyd).


Sono queste tutte le frecce all'arco di Sililbert, che si concede tra l'altro il lusso della citazione letteraria, con la tipica pesantezza dei connazionali, come se l'inquadratura in dettaglio di un'edizione pacchiana di "Festa mobile" nobilitasse in qualche modo questo pasticcio. Invece la dolorosa verità delle pagine di Hemingway stride terribilmente con l'artificiosità, l'ossessione per il "politicamente corretto" (un angelo bianco, l'altro nero), la dimensione spirituale angusta di questo film new age.
Il film offre argomentazioni (anche se non proprio nuove) al dibattito citato in apertura, viene proiettato attualmente in tutte le sale del vecchio continente, ed è un bene che a Londra, Parigi, Roma, il pubblico europeo si possa confrontare con "City of angels", anzitutto per abbandonarsi senza remore ad una risata liberatoria, una risata che si faccia beffe di tutte le pretese della macchina produttiva hollywoodiana. La distanza culturale che ci separa dal cinema medio americano (brutto e rapace come non mai) è attualmente consistente, e i dollari degli Studios possono comprare tutto, ma non possono certo nascondere i vizi irredimibili della fabbrica di plastica. Lo sanno anche gli angeli.


CITY OF ANGELS
di Brad Silberling
USA 1998


Produzione: WARNER BROS
Scritto da: Wim Wenders, Peter Handke
Interpreti: Nicolas Cage, Meg Ryan
Musica: Gabriel Yared
Durata: 114 min.


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26 agosto 1998

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