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Titanic
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di Luca Bandirali


Le dimensioni planetarie dell'attuale successo di Titanic costringono persino il più superficiale dei critici a misurarsi con il film colossale di James Cameron, che dopo una vicenda produttiva non meno appassionante dell'intreccio sentimentale-catastrofico approda al migliore dei risultati possibili: monopolizza la distribuzione degli Oscar, colleziona record d'incasso, e soprattutto fa sorgere un culto con migliaia di officianti che replicano la visione del film con assiduità maniacale (il 20 per cento degli spettatori è tornato a vederlo una seconda volta).
Partiamo da una giusta attribuzione di merito: il solo fatto che un progetto impossibile come Titanic si sia realizzato (grazie all'ostinata determinazione del regista) è senz'altro la vittoria di un grande visionario sul business cinico dell'industria cinematografica americana; non suoni blasfemo, dunque, l'accostamento all'Apocalypse now di Francis Coppola, un capolavoro nato da una gestazione soffertissima.
Cameron è uno dei rari uomini di cinema americani che ancora perpetuano il pricipio dell'autore unico, del regista cinematografico come faber, responsabile assoluto di tutte le fasi del processo creativo. L'enfasi posta sul controllo totale dell'opera fa pensare ai grandi dittatori della macchina da presa, come Stanley Kubrick, che di Cameron è certo uno dei maestri riconosciuti. Titanic è una sorta di nietzschiano tentativo di "creare al di sopra di sé", come testimonia il racconto delle riprese in cui si respira l'onnipotenza di un regista. Le tre ore e quindici minuti di proiezione restituiscono anzitutto questo, ed è piuttosto scoperto il gioco di Cameron di mettere in scena se stesso attraverso la vicenda del ritrovamento del gioiello che fa da contrappunto alla rievocazione storica della sfortunata crociera del Titanic. Il compiacimento con cui mostra allo spettatore le sequenze girate all'interno del relitto è il vizio che affligge l'intera opera, che si pone come l'esempio inarrivabile di un cinema magniloquente e narcisistico; se il virtuosismo della rappresentazione del disastro risulta poi stupefacente, se non altro per la capacità impressionante di sincronizzare l'azione e di utilizzare la tecnologia, è invece piuttosto sconfortante il confronto con la vicenda sentimentale che costituisce la parte più corposa del film. Al di là di una lettura sociologica di un'angustia inaccettabile (ancora il Titanic come ipostasi della società occidentale), ciò che colpisce negativamente dell'approccio al microcosmo titanico è il completo asservimento ad una logica convenzionale e corretta della


rappresentazione, con personaggi degni della letteratura rosa più abusata. Si ha l'impressione che Cameron trovi agio nella direzione della massa liquida che penetra lo scafo danneggiato nel roboante finale, e risolva invece la storia d'amore con l'ausilio del pilota automatico, affidandosi cioè alle immagini prevedibili del cinema in costume più schematico e stilizzato. La direzione degli attori (nonché l'operazione di casting) è un'altra nota dolente, con Di Caprio a reiterare il proprio cliché di Romeo adolescente e Winslet decisamente austeniana; il giovane attore americano, le cui qualità performative vengono celebrate da orde di teenager e dal critico di Repubblica, è stato tra l'altro una quarta scelta: il suo nome è stato fatto dopo il rifuto di Brad Pitt e dopo gli esiti negativi dei provini di Chris O'Donnell e Matthew McConaughey.
Insomma Titanic, film imperfetto ma certo importante e per alcuni versi memorabile, rinverdisce la tradizione di un cinema che sembrava perduto, quello dei kolossal popolari, grandi contenitori di emozioni universali: non è la potenza di Barry Lyndon quella che Cameron manovra, è invece la grandeur dei lavori di David Lean, Lawrence d'Arabia ma anche Il dottor Zivago, ciò che realizza.


titanic

TITANIC
di James Cameron
USA 1997


Produzione: 20th Century Fox e Paramount Pictures
Scritto da: James Cameron
Interpreti: Kate Winslet, Leonardo Di Caprio
Musica: James Horner
Durata: 195 min.


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9 marzo 1998

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