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Kolya

di Francesca Capobianchi


Siamo nella Praga dell’88, durante la rivoluzione di velluto che sottrarrà la Cecoslovacchia dalla sudditanza sovietica, un maturo musicista, Lucka, per denaro sposa una emigrata russa che vuole la cittadinanza ceca. La finta moglie scapperà in Germania lasciandogli da accudire il figlio che parla solo russo: ne nascerà un profondo affetto, fino a che la madre non si riprenderà il bambino, Kolya, e lascerà il violoncellista alla sua vita di scapolo.



Una serie di pieni e di vuoti colpisce lo spettatore di questo film di Ian Sverak, vincitore del premio Oscar quest’anno, come migliore film straniero. Le dita da cui si intravede il cielo, le colonne che interrompono la luce delle finestre, le corde del violoncello. E pieno/vuoto è la dialettica che sembra dominare tutta la trama: interviene un bambino a colmare la vita di un impenitente scapolo, delle bandiere russe ad addobbare le finestre per ricordare ancora la dominazione sovietica, la musica e un canto angelico ad accompagnare il vuoto per eccellenza, la morte.


La storia del film prende vita nella Storia di una nazione che sta per conoscere la libertà, e la incarna un violoncellista allegro, scanzonato, innamorato della musica e dell’amore. Questa Cecoslovacchia non si interessa molto delle bandiere comuniste, non odia i russi (come invece, la madre di Lucka, che rifiuta l’ospitalità al bambino), ascolta sì la radio, ma prima di addormentarsi, leggendo qualcos’altro. E la macchina da presa ce lo svela con toni delicati, con una serie di situazioni in cui i due rappresentanti dei Paesi in tensione, 2 rappresentanti particolari, si sforzano di comprendersi l’un l’altro; in un crescendo: prima i due non si capiscono, poi uno parla in ceco e l’altro risponde in russo o traduce, infine s’intendono e si amano.
E’ un film tenero, che non sorprende per tratti forti, ma sorprende proprio perché non li ha, perché non mostra una personalità eccentrica, ma perché si sforza di mostrarsi così come è.


KOLYA
di Jan Sverak
Repubblica Ceca / Francia / Inghilterra 1996

Regia: Jan Sverak
Sceneggiatura: Zdenek Sverak
Produzione: Miramax
Interpreti: Zdenek Sverak, Andrej Chalimon, Libuse Safrankova, Andrej Vetchy
Durata: 105 min.



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21 aprile 1997
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