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Intervista ad Harvey Karten
di Luca Bandirali


Ai tempi di Totò, il viaggio più lungo che un comico italiano poteva intraprendere conduceva al massimo da Napoli a Milano, ed era un viaggio comunque audace e difficoltoso. Oggi invece la più nota maschera nazionale, il Benigni delle piazze, delle performance televisive, delle straordinarie fiabe cinematografiche, sale i gradini dorati della Mecca del Cinema: varca la soglia di Hollywood, e con tutti gli onori del caso. "La vita è bella", acquistato dalla compagnia di produzione Miramax lo scorso ottobre per la distribuzione negli USA, si è meritato sette nomination agli Oscar 1999. Ma questa è cosa arcinota: tutti i media italiani non fanno che diffondere le immagini di un Benigni coccolato, invitato ai talk-show che contano, alle feste degli attori famosi, in attesa di un verdetto, quello dell'Academy, che potrebbe lanciarlo nel paradiso del business americano. Ne parliamo con Harvey Karten, critico newyorchese di formazione teatrale, attualmente in forza al colosso dell'editoria telematica IMDB. Mr. Karten segue da tempo le vicende americane di Roberto Benigni e adora questo film, ma non ci nasconde che la maggior parte delle notizie che circolano sull'Oscar e sul successo ottenuto da "La vita è bella" sono quantomeno inesatte. É proprio a proposito delle reali dimensioni di questo successo che comincia la nostra conversazione.


LB: Mr. Karten, allora questo Benigni sta per conquistare l'America?
Harvey Karten: "L'America è forse ancora troppo grande per lui... è vero, ha ottenuto queste nomination, ma tenga presente che i giurati dell'Academy sono un gruppo molto esiguo di persone, molto distanti nei gusti dal pubblico medio del cinema. Tanto per dirne una, "La vita è bella" non è un film anglosassone, ed è stato calcolato che solo l'1% degli spettatori americani va al cinema a vedere un film straniero, dunque è sbagliato parlare di un'America innamorata di Benigni".
LB: Ci dica quello che tutti vogliono sapere: vincerà gli Oscar per cui è candidato?
HK: "Credo che Benigni abbia qualcosa di più del 50% di possibilità di aggiudicarsi la vittoria nella categoria "Miglior film in lingua straniera". Questo perchè nella categoria più importante (Miglior film) sono generalmente tenuti in considerazione film statunitensi o al massimo britannici".
LB: Quanto conta nell'assegnazione degli Oscar il potere politico od economico di un produttore, o di una compagnia?
HK: "Sebbene nessuno lo ammetta, una compagnia di produzione riesce ad influenzare il voto dei giurati in tanti modi: bombardandoli di videocassette e gadgets del film, invitandoli a colazione con le star, ma anche organizzando per loro speciali proiezioni in sontuose sale private, o facendo regali. A volte però questa strategia può sortire l'effetto opposto a quello desiderato, e danneggiare il film. Per fare un esempio, molti ce l'hanno con Steven Spielberg per le sue relazioni importanti, per il potere economico che esercita producendo film sempre più costosi, e ambiziosi. Ad alcuni non piace l'idea che quest'uomo monopolizzi tutti gli anni l'assegnazione dei premi".
LB: Torniamo al comico toscano; perchè lei sostiene che non si tratta di un successo, come vanno dicendo i mezzi di informazione italiani?
HK: "Dico che è un successo molto relativo. "La vita è bella" è nelle sale americane da 110 giorni, ha guadagnato finora circa 18 milioni di dollari,....
 
....ed è attualmente in programmazione in 221 cinema ("Salvate il soldato Ryan" ha incassato ad oggi 194 milioni di dollari ed è programmato in circa 1000 sale, n.d.A.) È una dimensione da film d'arte, con un pubblico di cinefili che segue costantemente gli autori europei. Nonostante la pubblicità televisiva e i talk-show in cui cucina pastasciutta insieme a Sofia Loren, la maggior parte degli spettatori del cinema non conosce Benigni".
LB: Credo che la grande potenza di questo film risieda nel riferimento simultaneo alla Storia degli uomini (Olocausto) ed alla storia del cinema (le gag di Chaplin o Buster Keaton); quale di questi due elementi fa da tramite tra la cultura europea di Benigni e quella del pubblico americano?
HK: "Di certo il riferimento delicato ed insieme potente alla Storia, non ha un ascendente particolare sul grande pubblico; in genere il film storico spopola quando ha un impatto altamente spettacolare, vedi "Ben Hur" o "I dieci comandamenti". Per quanto riguarda il secondo elemento, il fatto è che la stragrande maggioranza degli americani probabilmente non ha mai visto neanche un film di Chaplin, ma tra gli estimatori del cinema d'arte tutte le affinità tra "La vita è bella" e il muto americano vengono colte e non possono che generare grande ammirazione per Benigni".



LB: In passato Roberto Benigni ha lavorato con Jim Jarmusch e Blake Edwards, ed ha diretto Walter Matthau; "La vita è bella" potrebbe aprirgli una carriera hollywoodiana?
HK: "Vorrei sottolineare il carattere eccezionale, quasi irripetibile di quest'ultimo film. A meno che non si ripeta sui medesimi livelli, toccando altre corde ma con la medesima intensità, escluderei una possibile carriera ad Hollywood per lui".
LB: Nemmeno una vittoria prestigiosa servirebbe a trasformare questo successo "di culto" in un campione d'incassi?
HK: "I premi Oscar sortiscono a volte un effetto positivo sugli incassi, garantendo una nuova visibilità ai film; ma, a meno che non si aggiudichi il premio come "Miglior film, "La vita è bella" non allargherà di molto il proprio pubblico. Ma anche il gradino più alto non assicura niente, ad esempio "Il paziente inglese" di Minghella trionfò all'Oscar senza ricavarne alcun ulteriore beneficio economico.



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17 febbraio 1999
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