incontri ravvicinati
Home Page


benigni ed il cinema della memoria

di Luca Bandirali


Ad uso e consumo del lettore onnivoro i critici italiani hanno parlato di un Natale '97 "all'insegna del cinema di qualità"; trattasi chiaramente di slogan fatuo e generico, non supportato dalla realtà dei fatti, che mostrano invece l'evidenza di un cinema replicante, tutt'altro che in salute.
La novità, si direbbe, è altrove: il film campione d'incassi, "La vita è bella" di Roberto Benigni, sorprende il pubblico (e la critica) e merita un plauso incondizionato. Fuori dal mucchio, fuori dal regionalismo in cui tutti cercano in qualche modo di ricacciarlo (quasi esistesse un cinema toscano...), Benigni si cimenta, credo per la prima volta, con un'idea di cinema difficile, densa di rimandi e riferimenti, tenacemente aggrappata ad una solida tradizione di comicità che da Chaplin arriva fino a Troisi, eppure fresca e controcorrente.
Del Benigni comico sono state scritte pagine notevoli: trionfo della fisicità ed uso spregiudicato della lingua sono state le sue qualità più celebrate.
Ho sempre avuto l'impressione che Benigni in passato non abbia indagato a dovere le possibilità del mezzo cinematografico (per un vizio di vanità forse); a conferma di questa rinuncia restano una serie di lavori irrimediabilmente senza profondità.
Vincenzo Cerami, suo sceneggiatore e ghost writer di sempre, ha scritto: "La logica che ispira la comicità è pura geometria, gioco sospeso nel nulla che non vuol dire nulla".
La rassegnazione ad uno spazio narrativo rigorosamente bidimensionale caratterizzava il successo miliardario de "Il mostro", film freddo, rigido nella successione matematica delle gag: questo Benigni era un autore ossessionato dal cronometro, dalla ricerca dei tempi della comicità.
Con "La vita è bella" invece, egli aderisce tout court alla poesia dell'immagine, alla fascinazione del racconto, insomma dedica finalmente la propria arte e il proprio indiscutibile talento all'elaborazione di un'opera completa, che sappia forzare gli angusti recinti della maschera comica.
"La vita è bella" rifiuta alcune fondamentali regole di genere (non tutte), ed è in questo rifiuto parziale che si legge la cifra stilistica del nuovo Benigni.
In primo luogo la relazione della vicenda con la Storia (l'Italia del fascismo, il lager nazista) diventa elemento della struttura portante del film, anzichè fungere da fondale semplice, e conferisce all'insieme un'insperata profondità; è questa una deviazione sostanziale dalle norme di genere che vogliono che il comico agisca programmaticamente fuori dal contesto, che dunque si fa sfondo indistinto (cfr. Cerami).
In secondo luogo c'è un'attenzione nuova per la narrazione, che va ad infrangere un'altra regola intoccabile secondo la quale il testo comico null'altro dev'essere che un'agile copione su cui innestare le improvvisazioni folgoranti del performer (basti pensare al cinema di Totò). Quest'attenzione particolare fa nascere (prima dalla penna dunque, poi dalla macchina da presa) un eroe stupendo, il Guido Orefice interpretato dall'attore­autore toscano, che ha il coraggio di muoversi in una realtà complessa appesantita dalla Storia e dalla Cultura.



Questo punto mi sembra davvero essenziale, soprattutto se ci si riferisce al cinema italiano degli ultimi anni, condannato al basso profilo (quello che alcuni chiamano minimalismo).
La generazione dei Salvatores, dei Virzì, dei Rubini, ha scelto di raccontare la storia assente, quella dei microcosmi, secondo un'opzione poetica i cui esiti - come scrive Attilio Coco su Segnocinema n.83 - "sono accomodanti e acriticamente giustificatori".
Ora, non è detto che tornare a confrontarsi con la dinamica della Storia sia la ricetta unica per fare il cinema ("La tregua" di Rosi ha messo in luce il rischio più grande del cinema della memoria, quello di far soffocare le immagini dall'imponenza dell'apparato retorico); tuttavia mi sembra che si tratti di una strada da percorrere con maggiore convinzione (in fondo quegli autori che l'hanno fatto, e penso al Pozzessere di "Testimone a rischio", al Calopresti di "La seconda volta", hanno prodotto gli episodi più interessanti di una cinematografia, quella italiana, mediamente brutta).

Gli strumenti con cui Benigni si predispone al racconto storico sono peraltro derivati, preme sottolinearlo, dal linguaggio comico, per quanto sottoposto al vaglio di una regia attenta e presente. "La vita è bella" dunque è un film comico in quanto delibaratamente autoreferenziale: l'autore ruba con gusto le battute al Troisi di "Ricomincio da tre" (quando cerca di far muovere gli oggetti con il pensiero), e replica fedelmente notissime gag di Chaplin e Buster Keaton; lo stesso personaggio interpretato dal bravo Sergio Bustric incarna alla perfezione la figura della spalla, un punto fermo del genere comico.
Benigni quindi non rinuncia all'Invenzione, alla costruzione di un cinema metonimico, cioè fondato su un sistema di segnali ognuno dei quali promette uno sviluppo; nello stesso tempo intraprende con decisione il percorso autoriale regalando alle sterminate platee natalizie un film intenso, spesso faceto, talvolta (e sono i momenti migliori) pensoso.


LA VITA È BELLA
di Roberto Benigni
Italia 1997

Regia: Roberto Benigni
Prodotto da: Elda Ferri, Gianluigi Braschi
Interpreti: Roberto Benigni, Nicoletta Braschi
Soggetto e sceneggiatura: Roberto Benigni, Vincenzo Cerami
Montaggio: Simona Paggi
Musiche: Nicola Piovani



info@baldas.it (prime) visioni
posto unico
incontri ravvicinati
amori in corso
covers
credits
home


2 gennaio 1998
© Copyright 1996-1998, by Baldas & Baldas DIVISION. All rights reserved.
Comments to webmaster.