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la scatola di cartone

di Luca Bandirali


natale non sarebbe lo stesso senza il tradizionale appuntamento con il film di animazione Disney; lo sanno bene i bambini (ed i gestori dei cinema) di mezzo mondo, lo sanno bene alla Disney, dove i maghi della comunicazione conoscono alla perfezione il meccanismo del successo commerciale. La multinazionale americana ha messo a punto nel corso degli anni una strabiliante macchina multimediale, di grande affidabilità ma soprattutto irraggiungibile, lanciata alla velocità della luce verso facili conquiste. La strategia Disney ha fatto scuola, ma nessun allievo ha superato il maestro; ci si interroga spesso sulle qualità che hanno consentito la nascita di un impero: a mio parere i segreti di tanta meraviglia si chiamano pianificazione meticolosa e promozione massiccia. A pensarci bene, la fabbrica dei sogni vende un prodotto sicuro: una scatola vuota . A questa si dà di volta in volta un nome ("Sirenetta", "Pocahontas"...), quindi non resta che venderla sul mercato internazionale delle scatole, imponendola come la prima, l’unica e inimitabile scatola di cartone.



Come avviene l’assemblaggio del redditizio contenitore? Prenderò in esame l’ultimo capitolo (il 34°) di questa saga infinita, "Il gobbo di Notre Dame". I lavori per la realizzazione del lungometraggio hanno inizio nel 1993, Eurodisney ha da non molto aperto i battenti e il progetto nasce proprio dalla collaborazione tra francesi e americani. L’idea è quella di produrre un film legato alla cultura europea, ai suoi luoghi più rappresentativi o meglio più riconoscibili; l’obiettivo è quello di dare alla luce il primo classico Eurodisney, ad uso e consumo del nuovo parco dei divertimenti. Parigi sembra un set ideale, il romanzo di Victor Hugo si presta alla trasposizione cinematografica (ne sono state girate quattro versioni !), dunque il più è fatto: non resta che mettere in moto la macchina da soldi. Ecco allora che i gadgets del Gobbo invadono il pianeta con la complicità di aziende che investono fortemente sul richiamo del marchio Disney: merendine, cartelle, giochi da tavolo con il faccione di Quasimodo in bella mostra vanno a ruba, mentre le immagini del film entrano nelle case e cominciano a sedurre grandi e piccini. Trailers estremamente esaustivi illustrano le fasi di lavorazione e le tecniche di animazione, nel frattempo una voce impostata propone allo spettatore casalingo un sunto della trama cosicché questi possa familiarizzare con i personaggi e le vicende del cartoon. La stessa voce, ora festosa, informa il sempre più persuaso spettatore della reale possibilità di vincere uno splendido viaggio a PARIGI, dove potrà visitare Notre Dame (o meglio Eurodisney), e conoscere di persona il tenero Quasimodo, il terribile Frollo, la bonazza Esmeralda. Allora "Il gobbo di Notre Dame" è un successo annunciato, dal momento che il martellamento multimediale non può che sortire gli effetti sperati: infatti ho visto un pubblico numeroso (e decisamente eterogeneo) affollarsi all’ingresso del cinema e prendere posto con la voracità dei disneyani affamati, e in un clima di mistica attesa ho visto scorrere sullo schermo lunghe sequenze de "La carica dei 101" con Glenn Close,
A PASQUA NEI CINEMA . . . .



il fascino discreto del gobbo di notre dame

nel 1990, con il successo di "Chi ha incastrato Roger Rabbit ?", si apre quella che Oreste De Fornari ha definito "la nuova stagione delle mele d’oro in casa Disney". Dopo un lungo periodo di anonimato ("The fox and the hound", "Oliver & company") caratterizzato da una produzione discontinua per qualità e risultati, la Disney torna prepotentemente alla ribalta.



L’operazione-rilancio si concretizza attraverso titoli di grande richiamo, già entrati di diritto nell’immaginario del cinema di animazione. La critica è unanime nell’individuare in "La bella e la bestia" di Gary Trousdale e Kirk Wise il capolavoro indiscusso del nuovo corso. Raccolti i frutti di questo lavoro celebratissimo, la talentuosa coppia elabora un progetto ambizioso, con l’obiettivo di scuotere la Disney da una momentanea paralisi creativa ("Il re leone" e "Pocahontas" possono essere considerati passaggi a vuoto) e di conquistare i favori dello spettatore più esigente oltre che della sconfinata platea natalizia. Il risultato è "Il gobbo di Notre Dame", film che consolida la poetica di Trousdale e Wise derivando dal loro fortunato esordio alcuni significativi elementi: il gusto neobarocco delle immagini, una solida ispirazione letteraria, la predisposizione per il racconto morale. A rendere ancora più apprezzabile l’opera vi sono le difficoltà di un’impresa del genere, a mio parere essenzialmente due:
1) la responsabilità del cartoon natalizio;
2) la assoluta auto-referenzialità del cinema Disney.
Per quanta riguarda il primo punto gli autori se la cavano egregiamente; certo il loro non è un film sperimentale come "Nightmare before Christmas", ma riescono a coniugare originalità e grande mestiere in un film di successo. Più complesso è il secondo discorso: in casa Disney, pur nel rispetto della creatività e delle idee dei singoli autori, esistono infatti delle regole codificate "di squadra" alle quali non ci si può comunque sottrarre, delle vere e proprie direttive che orientano e caratterizzano il prodotto cinematografico. Insomma, girare per la Disney vuol dire misurarsi con un universo dalla fisionomia ultradefinita, compito arduo che l’autore può assolvere limitandosi a replicare stancamente i cliché del genere oppure cercando, sempre nel solco della tradizione, di rinnovare progressivamente un linguaggio, uno stile conosciuto (e amato) da intere generazioni. Quest’ultimo è proprio il caso de "Il gobbo di Notre Dame", un film che progettualmente affronta tutte le invarianti del linguaggio disneyano, con deferenza ma anche con uno spirito di ricerca da non sottovalutare. Ciò che colpisce immediatamente è lo spessore che il team di registi intende conferire al tono della vicenda, obiettivo cui contribuiscono la sontuosità della messa in scena e l’attenzione maniacale per tutti gli elementi squisitamente cinematografici (i movimenti di macchina, l’uso della luce). "Il gobbo di Notre Dame" è un kolossal attraversato dal soffio della Storia, che riveste ogni cosa di una patina di accattivante romanticismo. I colori molto attraenti e sapientemente mescolati (tinte forti, naturalmente) rendono il film uno spettacolo per la vista, e la Parigi di Trousdale e Wise resterà nel tempo un fulgido esempio di virtuosismo dell’animazione. E’ certamente il caso di parlare dell’intreccio: questo è sufficientemente curato e non tradisce la sostanza del testo di Hugo (senza lanciarmi in improbabili analisi comparate, mi sembra che siamo lontani dalla scrittura esile e sciatta di un "Pocahontas" qualunque). I personaggi principali sono quattro: Quasimodo, il tenero campanaro gobbo che viene isolato nella torre della cattedrale di Parigi; Esmeralda, la stupenda e generosa ballerina gitana amica di Quasimodo; Febo, il capitano della Guardia che si innamora perdutamente della bella Esmeralda; Frollo, il giudice malvagio che ha isolato Quasimodo nella torre della cattedrale. Senza alcun dubbio il giudice Frollo è il miglior attore di carta che sia apparso sullo schermo per lo meno dai tempi di "Robin Hood": i piccoli occhi di ghiaccio, la figura maestosa, l’incedere regale, il volto impassibile e l’animo maligno ne fanno un grandioso eroe tragico. Inutile dire che gli autori gli regalano il momento migliore del film ovvero la sequenza del delirio onirico del giudice che, invaghitosi della zingara ribelle, invoca la Madre di Dio affinché allontani la tentazione. Le immagini sono intrise di intensa drammaticità, sferzate da
un fuoco terrificante e carico di intenti allegorici, un fuoco le cui lingue mobilissime assumono ad un tratto le sembianze di Esmeralda danzante. Il potere evocativo di questi attimi è enorme, in quanto i disegni riescono magistralmente ad esprimere quello che non si può dire : la passione, la collera, il senso di colpa, e tutto con la forza dirompente del fuoco; i monaci vestiti di rosso che, generati dalla mente delirante di Frollo, lo accerchiano minacciosi, chiudono una delle sequenze più intense del cinema di animazione di tutti i tempi. Frollo è una creatura umbratile, sfuggente ed infida, e la "recitazione" molto teatrale del personaggio, funzionale ad esaltarne i tratti più sinistri, è da non perdere. E’ interessante notare come gli animatori giocano con la luce sul volto segnato del giudice, dando vita ad una pelle pulsante che è distante anni luce dall’algida incorporeità di tanti cattivi disegnati (il Jafar di "Aladdin", per esempio); Frollo è l’unico erede, per sincera crudeltà e naturale inclinazione all’esercizio del male, di Malefica, la meravigliosa strega de "La bella addormentata nel bosco". L’oggetto di tanta dissennata passione è una donna carnale, che prende consistenza nel movimento della danza: Esmeralda non assomiglia affatto alle eroine Disney, non è fragile come Jasmine ("Aladdin") ne rassicurante come Belle ("La bella e la bestia"); di quest’ultima conserva forse il carattere indipendente e anticonformista, ma mentre Belle era tutto sommato dinamicamente convenzionale, la gitana si muove sinuosa e balla come una dea pagana in uno scenario che sembra costruito su misura per i suoi passi (anche la ragazzona Pocahontas sembrava a suo agio nella foresta americana, ma quella era soltanto ginnastica). La scoperta del corpo è dunque uno degli aspetti notevoli di questo lungometraggio; detto che si tratta di un’opera che impreziosisce una filmografia già prestigiosa, non si possono però tacerne i difetti, le imperfezioni che non ne fanno un nuovo "Pinocchio". Analizzando il film dal punto di vista delle invarianti è possibile mettere a fuoco le zone d’ombra del film, ossia:

le infrazioni ingiustificate di Trousdale e Wise

1) IL PROTAGONISTA DEL FILM Quasimodo, ovvero la nostra impossibilità di essere normali: quanto è stato detto, scritto, mostrato sul tema ? A meno di non essere Francis Coppola (che in "Dracula" e in "Jack" ha raccontato il dramma della diversità, profondo e lieve come solo Coppola sa essere), è difficile limitare le incursioni nel patetico o semplicemente nel banale (vedi "Rain man" di Levinson o "L’ottavo giorno" di Van Dormael). La rappresentazione del mondo di Quasimodo presenta sicuramente degli elementi di interesse come ad esempio il suo voler costruire concretamente una realtà che può soltanto osservare (le statuine di Quasimodo come ipostasi di un esterno irraggiungibile, ma forse anche come riferimento/omaggio alla messa in scena del cinema e della vita). Se la dimensione interiore del personaggio è convincente, il suo rapporto con gli altri corpi del film è quasi del tutto irrisolto. Quasimodo non prende mai in mano le redini dell’azione, fatica terribilmente ad essere soggetto, e questo nuoce in primo luogo al ruolo che egli svolge nella storia d’amore di cui è spettatore (troppo facile il gesto con cui unisce le mani dei due amanti nel finale del film, benedicendo così la loro unione).
2) L’EROE Il valoroso capitano Febo presenta gli stessi preoccupanti sintomi del poco illustre John Smith visto in "Pocahontas" (scarsa personalità, piatto, fragile, ancora più anonimo nel confronto obbligato con l’esuberante Esmeralda o il malvagio Frollo), sintomi che ne decretano la morte come personaggio già verso la fine del primo tempo, per sopravvenuta mancanza di fantasia.
3) I PERSONAGGI COSIDDETTI "DI CONTORNO" Nei film Disney i personaggi di contorno sono i depositari assoluti dell’ironia, sono lo strumento per ottenere quelle qualità di humour e levità di fondo che un buon cartone deve possedere. In questo senso "La bella e la bestia", precedente prova di Trousdale e Wise, era un laboratorio esemplare di simpatiche apparizioni come le stoviglie parlanti, il candelabro Lumiere e l’orologio Tokins. Hugo, Laverne e Victor, le statue vive che solidarizzano con Quasimodo, non hanno sufficiente verve per bilanciare con la leggerezza l’inevitabile enfasi dell’affresco storico.
4) LE EMOZIONI I classici Disney sono da sempre sinonimo di grande potenza drammatica, si pensi a "Bambi" o a "Biancaneve e i sette nani". Al "Gobbo di Notre Dame" manca senz’altro il calore di queste pellicole, dal momento che gli autori derogano dalla regola fondamentale: amplificare i sentimenti per condividerli con un pubblico avido di emozioni forti. La sequenza della morte di Frollo, che replica fedelmente (nelle immagini ma non nell’impatto) la sequenza della lotta tra la Bestia e Gaston in "La bella e la Bestia", non fa che confermare quanto detto: i contendenti si danno battaglia sulle guglie della cattedrale di Parigi, si spingono sull’orlo del baratro, e a salvarsi sarà il più buono. In un grande sfoggio di tecnica.


IL GOBBO DI NORTE DAME
di G.Trousdale e K.Wise
USA 1996


Produzione: Walt Disney productions / Buena Vista Pictures
Musica: Alan Menken
Doppiaggio: Esmeralda-Mietta, Quasimodo-M.Ranieri, Frollo-E.Pagni
Durata: 90 min.



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29 dicembre 1996
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