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Immigrazione: disagi sociali, difficoltà di inserimento...

A Latina è ancora emergenza

Ne abbiamo parlato con Antonio Riccio, dirigente della Questura

Quelle immagini strazianti dei profughi albanesi sbarcati sulle coste di Brindisi e Lecce con mezzi di fortuna e costretti, dopo un inutile sciopero della fame, a riprendere la rotta verso il loro martoriato paese sono rimbalzate sugli schermi dei nostri televisori e sulle prime pagine dei giornali in tutta la loro drammaticità.
Volti di uomini, donne e bambini che fino all'ultimo avevano sperato nel loro sogno italiano di costruirsi una vita più dignitosa, la stessa speranza che a cavallo del secolo animava i milioni di nostri connazionali in partenza per le Americhe, armati solo di una valigia di cartone.
A prescindere da qualsiasi raffronto storico che certo dovrebbe far riflettere, i nostri governanti parlano di pura applicazione della direttiva Prodi dello scorso 1 Settembre che prevede il rimpatrio graduale dei cittadini albanesi fuggiti dai campi profughi o sprovvisti di un nulla osta provvisorio, da attuarsi entro il 30 Novembre (e per il quale l'opposizione grida allo scandalo, visto che si dà tempo a molti di loro di far perdere le proprie tracce).
Così, mentre i più fortunati sono riusciti a procurarsi uno "sponsor" (un potenziale datore di lavoro, ma anche un lontano parente) in grado di regolarizzare la loro posizione nel nostro paese e i più furbi si sono dileguati col primo treno per Milano, per tutti gli altri non resta che riprendere la via del mare diretti a Durazzo, accompagnati dai militari della corazzata Garibaldi. Per nulla rassegnati, molti di loro già si apprestano a ritentare la sorte della traversata in mare, non appena le condizione del tempo lo permetterà, pagando un costoso biglietto di viaggio (fino a un milione di lire) per attraversare quei cento Km scarsi che separano l'Italia dalla terra delle aquile.
A Tirana come a Valona, intere famiglie fanno la fila davanti ai consolati italiani per essere ricevute ed ottenere così il prezioso visto d'ingresso, semprechè si rientri nelle quote stabilite dal nostro governo (ventimila ingressi l'anno).
Proprio in questi giorni è passata alla Camera la nuova legge sull'immigrazione, tra non poche polemiche, con i deputati di destra che accusano il ministro degli interni Napolitano di essere troppo tenero in materia di espulsioni e quelli di sinistra, Verdi e Rifondazione Comunista in testa, contrari invece ad un nuovo giro di vite sui controlli alle frontiere.
Quella dei profughi albanesi, ma lo stesso dicasi per le migliaia di boat-people del terzo e quarto mondo, è solo la punta dell'iceberg di un fenomeno che ha assunto proporzioni allarmanti e che i governi dell'Europa comunitaria cercano di affrontare con una politica di rafforzamento delle frontiere e di quote d'ingresso.
La penisola italiana, distesa com'è nel bacino del Mediterraneo per più di 6.000 Km di costa, si trova in una posizione strategica per tutti i flussi immigratori diretti dal NordAfrica e dal Vicino Oriente verso il Centro e NordEuropa e non è un caso se il nostro ingresso nell'accordo di Schengen (che liberalizza i movimenti di cose e persone nell'area comunitaria) sia venuto in ritardo rispetto agli altri partner europei, preoccupati non poco dalle falle che si sono aperte alle nostre frontiere e dall'elefantiasi delle procedure d'espulsione.
A Lampedusa, vera porta dell'immigrazione clandestina dai paesi del Maghreb, vi sono solo tre carabinieri di guardia e le 14 motovedette in servizio non possono impedire che i clandestini, non appena intercettati, cerchino di autoaffondarsi costringendo le autorità a soccorrerli: una volta concluse le procedure di identificazione molti di loro riescono comunque a farla franca (secondo alcune stime tre su quattro), come testimonia il dato che su 2.778 decreti di espulsione emessi lo scorso anno, nemmeno uno sia andato in porto.
Spesso le forze dell'ordine ricorrono alle maxi-retate , come quelle dello scorso Settembre che hanno interessato molte città italiane tra cui Roma, perchè sono l'unico strumento per sgominare il traffico dell'immigrazione clandestina, anche se accentuano non poco il carattere repressivo piuttosto che preventivo dell'azione di controllo.
Un omicidio per una lite tra extracomunitari proprio alle porte di Latina ha riportato all'attenzione dell'opinione pubblica locale il tema immigrazione: ParvapoliS ha raggiunto il dirigente responsabile della Questura di Latina, Antonio Riccio, per riferire della situazione nella nostra provincia, dove sono presenti più di ventimila extracomunitari, di cui circa dodicimila muniti di permesso di soggiorno.
Esistono in provincia di Latina dei centri di prima accoglienza? "Sì, ve ne è uno per gli albanesi a Fondi oltre ai servizi umanitari di accoglienza, sia privata che attuati dalla Caritas diocesana. Le emergenze possono essere diverse: si va dalle cure sanitarie per la partoriente, all'assistenza privata per il rifugiato politico."
-Quali sono le vigenti disposizioni in materia di immigrazione? "La legge attualmente in vigore è la 3990 che prevede, per coloro che sono entrati prima del 31 marzo di quest'anno e sprovvisti del permesso di soggiorno, l'espulsione entro quindici giorni dalla notifica del provvedimento. Per tutti gli altri vengono valutate tutte le posizione effettivamente riscontrate dal punto di vista della loro regolarità".
Come si articola la vostra azione sul territorio e quali sono state le maggiori diffocoltà incontrate sino ad ora? "L'azione sul territorio viene attivata in osservanza del decreto legislativo, dal punto di vista amministrativo e penale: essenzialmente effettuiamo controlli di prevenzione e repressione, là dove ve ne sia la necessità. Recentemente c'è stato un episodio criminoso proprio a Latina, l'8 settembre scorso in via Egadi: l'autore, un immigrato polacco, ha ucciso un connazionale per la spartizione del bottino.
Quali sono le richieste maggiormente avanzate al personale della Questura? "Direi una sola: il permesso di soggiorno o il visto d'ingresso."




Dove finisce il razzismo e l'intolleranza, comincia la solidarietà

La voce del volontariato

Quando una buona e sana cultura dà i suoi frutti...

Nell'attuale contesto legislativo, quello della legge Martelli del 1989, in cui ancora non si parla di flussi programmati e dove accanto alla fase di controllo sul territorio affidata alle forze dell'ordine un capitolo è dedicato anche alle strutture di prima accoglienza e di integrazione sociale, i soggetti più attivi in tal senso sono, oltre agli enti locali, alla Caritas ed al sindacato, le associazioni di volontariato che spesso in collaborazione con quest'ultime fungono da tramite tra l'immigrato e la comunità ospitante.
Non a caso i tanti episodi di solidarietà si manifestano proprio grazie all'intermediazione dei volontari che contribuiscono con la loro opera a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle maggiori problematiche. Se la Questura ha accertato nel 1995 numerosi casi di sfruttamento nelle aziende agricole pontine, la testimonianza di uno di loro può forse aiutarci a comprendere meglio il fenomeno. La maggior parte degli immigrati infatti, al di là di dati certi, svolge per lo più lavori saltuari e in nero, al di fuori delle regole dei contratti. Presenti soprattutto nell'agricoltura, nel commercio e nell'edilizia, molti immigrati svolgono attività marginali come lavavetri, o nella vendita di fazzoletti.
A Latina molti volontari cercano di dare una risposta a questo bisogno di integrazione, in un contesto in cui sono presenti altre emergenze come quelle della crisi economica. Tra di loro c'è Xxxxx giunta dalla Polonia nel 1988, con un passato anch'essa di immigrata: "Il primo problema per gli immigrati è quello del lavoro, che convive e si somma a quelli dei minori, non infrequenti tra le famiglie dei nomadi. Esistono ditte che vanno avanti con lo sfruttamento dei lavoratori extracomunitari; la loro strategia consiste nel licenziare l'immigrato quando acquista una certa padronanza della lingua, perché diventa informato".
Spesso gli stessi enti locali, come la Regione Lazio, intervengono sulla base di piccoli progetti presentati dalle associazioni di volontariato e, per quanto riguarda Latina, la solidarietà non manca, dalla raccolta di abiti usati all'offerta di un lavoro temporaneo. A Borgo Santa Maria esiste il centro di accoglienzaOasi di vita promosso dalla Cisl di Latina con i contributi regionali, uno dei tanti casi in cui è decisivo l'apporto dei volontari che si offrono come personale per la mensa o la ricerca di un alloggio di prima accoglienza. Qui operano i Compagni di Gesù crocifisso riuniti in una cooperativa, laConcordia dell'amore fraterno. "Mi è difficile esprimere a parole un momento d'amore", dice uno di loro. "Diversi anni ci è venuto a bussare alla porta un immigrato che non aveva molto da chiederci e da quel giorno altri come lui vennero numerosi. Noi cercavamo di capire i loro problemi, e venimmo a sapere che passavano la notte all'aperto. Ci siamo attrezzati ed abbiamo aperto delle case di seconda accoglienza, tre appartamenti per venticinque ragazzi che si mantengono da soli le spese".
L'opera instancabile di solidarietà svolta dai volontari è stata macchiata negli anni passati da odiosi episodi di intolleranza, come quello capitato ad Akter Azuman, 28 anni dal Bangladesh, aggredito ad un distributore di benzina da due malviventi od altri non meno sconcertanti di immigrati allontanati dopo pochi giorni dal cantiere in cui lavoravano perché, dicevano i padroni, "il loro colore attirava l'attenzione dell'ispettorato". Per don Mario Sbarigia, della Caritas è "interessante notare che proprio il disoccupato si mostri più solidale verso chi si trova nella sua stessa condizione. Però in genere, è l'accresciuta difficoltà nel trovare un lavoro ed una casa a creare in tutti, giovani e meno giovani, donne ed anziani, questa paura dell'immigrato che toglie il lavoro. Tutto questo favorisce un atteggiamento di difesa ed irrigidimento che porta a vere forme di razzismo".
Così le esperienze pur significative di volontariato non possono far dimenticare le sacche di ignoranza che, soprattutto tra i giovani, permangono sulla realtà della presenza dell'immigrato esulla legge Martelli. Dario Roncon, segretario della Cisl, dalla sua riconosce che non siamo di fronte ad una semplice questione di ordine pubblico. "L'immigrazione è un problema grave che non si risolve con gli slogan o le etichettature ma va preso nella sua reale dimensione, a cominciare dai numeri: nella nostra provincia vi sono 4.500 immigrati regolarizzati e 15.000 clandestini, un numero che aumenta vistosamente nel periodo estivo. Se si raffronta il numero con quello relativo ai disoccupati nel 1994, circa 70.000 iscritti al collocamento, ci rendiamo conto della gravità del problema".
Giorgio Carra, responsabile del centro Oasi di vita, tenta un bilancio provvisorio di questa struttura d'accoglienza: "Come spesso accade in Italia tra l'idea di realizzare una cosa e la sua effettiva realizzazione passano tanti di quegli anni da far pensare che quello che si è fatto sia ormai superato. Noi della CISL ci siamo impegnati su questo progetto sin dall'inizio e ci rendiamo conto che dall'ultima sanatoria, questo tipo di accoglienza va rivisto. È importante non trascinare la situazione a lungo, poco concretamente: bisogna distinguere tra una prima fase di accoglienza gratuita che non vada oltre i sessanta giorni ed una successiva con possibilità di rimanere con un contributo dell'ospite. Non bisogna dimenticare che queste strutture possono essere utilizzate in altri modi, penso all'assistenza agli anziani nella zona vicina.




Le strutture di accoglienza in provincia: l'oasi Al Karama

Dignità, prima di tutto

Le parole diventano fatti a Borgo Bainsizza...

Al Karama in arabo significa dignità, un valore a cui l'immigrato deve far spesso riferimento per poter superare i tanti ostacoli che si frappongono al suo completo inserimento nella società ospitante. Primi fra tutti i pregiudizi, duri a morire, che la sua presenza sia un fattore di privazione (di lavoro, di benessere e di stabilità) anziché di arricchimento (umano, sociale e culturale) per la comunità autoctona.
Ricordo un'episodio, emblematico e che fa al caso nostro, di quand'ero matricola universitaria a Roma. Cercavo un'appartamento non troppo lontano dalla facoltà e mi imbattei in un'anziana signora piuttosto simpatica che, dopo avermi mostrato gli interni della casa, si rivolge a me e pacatamente mi fa: "Tu per me vai bene come ospite ed io d'altra parte non sono molto esigente al riguardo, tranne che per i neri. Non che sia razzista, ma sai...", continuando il discorso con l'elencazione delle sue buone ragioni. Inutile dire che la stanza non l'ho più presa: chissà che faccia avrebbe fatto difronte al mio amico ivoriano Mohammed.
Che, in quanto studente, non aveva lo status di immigrato ma ciò non toglie che rimasi a dir poco sorpreso nel sapere che aveva più di una madre e ben tredici fratelli a cui voleva bene senza alcuna distinzione. Mohammed si mostrò molto più vicino alla mia cultura di quanto io pensassi (trovava inconcepibile che i giovani non usassero il profilattico per difendersi dall'AIDS) e in più di un'occasione mi diede lezioni di civiltà e rispetto.
L'immigrato invece non gode sempre della stessa simpatia e, nonostante in molti casi sia riuscito ad integrarsi perfettamente nella comunità locale, rimane vittima di veri e propri atti di intolleranza, come testimoniato dall'aggressione avvenuta qualche anno fa all'imam di Latina, il capo spirituale della comunità islamica.
Nate grazie alla legge Martelli del 1989 con lo scopo di favorire l'integrazione degli immigrati nel contesto socio-economico locale, i Centri di prima accoglienza sono, come dice la parola stessa, delle strutture di sostegno temporaneo che provvedono ad assicurare oltre al vitto e all'alloggio, l'assistenza medico-sanitaria e quella legale all'immigrato, per i primi tre mesi circa della sua permanenza, per il tempo necessario a trovare una casa ed un lavoro.
Quello di Bgo Bainsizza, nelle campagne attorno a Latina, nasce nel 1991 sotto l'egida delle sezioni nazionale, regionale e provinciale della CGIL , che hanno dato vita ad una struttura comprendente 7 alloggi per 40 persone, una mensa self-service, depositi per gli attrezzi agricoli, impianti sportivi e ricreativi, una biblioteca, aule di formazione professionale, una sala riunioni e per il culto, uno sportello per le informazioni.
Il centro Al Karama infatti oltre a provvedere alle esigenze primarie degli immigrati, si pone come struttura di servizio, anche per i residenti locali, e di integrazione fra questi e gli immigrati stessi. Come ci ricorda il rappresentante della CGIL, sig. Pierino Ricci, "vogliamo occuparci non solo dell'accoglienza ma anche e soprattutto del reinserimento nel tessuto sociale degli immigrati con corsi di formazione. In questi giorni ne sta partendo uno per la comunità marocchina per formare quadri dirigenti e che coinvolge 60 ragazzi."
La vera piaga per gli immigrati si chiama sfruttamento, per i marocchini (per l'80% circa venditori ambulanti), come per i tunisini (manovali edili) per gli egiziani (molto presenti nella ristorazione) come per i 'poveri tra i poveri', pakistani ed indiani, instancabili lavoratori della terra (anche tremila lire l'ora per dieci o più ore al giorno). "Il lavoro degli extracomunitari è lavoro nero, sottopagato, senza contributi sanitari versati, con frequenti casi di vero e proprio sfruttamento. Lavorano in situazioni di totale abbandono, anche a causa del rapporto coi rispettivi datori, che rimane all'ombra della legalità".
A dispetto della tanto bistrattata burocrazia italiana, il centro Al Karama è perfettamente funzionante e funzionale, sia per l'accoglienza dei suoi 40 ospiti, sia per servizi quali la regolarizzazione alla Questura, l'iscrizione al collocamento o alla scuola materna per i figli degli immigrati, per i quali esiste un'apposito sportello presso la Camera del lavoro di Latina, che funge anche da centro di ascolto.
Dalla CGIL abbiamo la conferma di un destino che accomuna lavoratori autoctoni ed immigrati, il lavoro nero: "Spesso e volentieri il rapporto di lavoro è privo di qualsiasi intermediazione e noi ne veniamo a conoscenza in piccolissima parte; il grosso non emerge a causa della crisi economica, se non addirittura di veri e propri ricatti." Sulla falsa credenza popolare che l'immigrato scippi il lavoro all'italiano, il sig. Ricci è abbastanza lapidario: "I settori che loro vanno ad occupare sono quelli lasciati vuoti dal lavoratore italiano perché non più richiesti da quest'ultimi o perché sono a bassocosto. Loro lavorano per sbarcare il lunario, non certo per fare consumi".
Anche il centro Al Karama è stato toccato dalle vicende albanesi ma, dopo un'iniziale contatto con la Questura, si è preferito utilizzare la struttura di Fondi (il centro Il Gabbiano, chiuso dopo il rimpatrio dei profughi non regolarizzati), anche per mancanza effettiva di posti alloggio. D'altra parte, come ricorda Ricci, "Il problema degli albanesi va oltre la semplice accoglienza e coinvolge la cooperazione internazionale: paesi del terzo e quarto mondo prima o poi non accetteranno che un terzo della popolazione mondiale continui ad avere la fetta più grande della torta.".
È l'occasione, questa per il sindacato, per lamentare l'assenza in Italia di una vera e propria 'cultura dell'immigrazione' che deve tener conto in primo luogo delle caratteristiche di ciascuna comunità e della storia recente del paese ospitante: "In Francia gli immigrati rappresentano il 4% della popolazione, molti di loro (vedi gli algerini) sono ben inseriti ed occupano anche posti di comando. In Italia, tra regolarizzati e clandestini, non superiamo il milione di persone. Per noi il fenomeno è ancora nuovo ed ha assunto una veste macroscopica con la metà degli anni Ottanta, quando il benessere generalizzato del nostro paese è diventato fattore di richiamo per migliaia di diseredati".
Lo scenario non è comunque così fosco, non foss'altro perché l'Italia, che ha alle spalle un passato di paese d'emigranti, ha una cultura dell'accoglienza, "che non traspare a causa della crisi economica e del conflitto di classe. Le forze politiche tendono a fare demagogia, a descrivere una sorta di lotta tra poveri (la classe operaia italiana) da una parte e i poverissimi (gli immigrati) dall'altra, dimenticando che quest'ultimi hanno rischiato la vita per raggiungere il nostro paese."
Ricci fa ovvio riferimento ai progetti di cooperazione internazionale tra il primo e il terzo mondo, "che ogni giorno che passa si impoverisce sia sul piano umano che intellettuale, visto che a rimanere sono solo donne, anziani e bambini. Certo più facile è approntare politiche d'immigrazione solo quando se ne avverte l'emergenza, anche se il disegno di legge Napolitano cerca di dare dei connotati al problema. Per la prima volta si comincia a parlare di flussi programmati, a distinguere tra irregolare, che non ha permesso di soggiorno valido a seguito della perdita del lavoro e si trova quindi nella situazione temporanea di non poter più dimostrare il possesso di un reddito, ed il clandestino che entra nelle maglie delle frontiere senza alcun rispetto delle leggi vigenti, sia italiane che internazionali. Questo nuovo disegno di legge fa chiarezza sul fatto che l'immigrato in regola ha le stesse opportunità di un cittadino italiano, con pari diritti e doveri. Oggi fortunatamente viviamo in un clima di apertura all'esterno che dovrebbe facilitare la conoscenza e la comprensione reciproca tra i popoli".




ParvapoliS ha raccolto una testimonianza

Vita da immigrato

"Il nostro sogno? Tornare a casa..."

Hassam viene dal Marocco, dopo un lungo viaggio in nave è approdato nel porto di Genova, proveniente dalla Libia, nell'agosto dell'88. Il primo anno l'ha trascorso nella semiclandestinità in attesa, come tanti suoi conterranei, della sanatoria sull'immigrazione dell'anno seguente.
Dopo una breve esperienza di lavoro nel capoluogo ligure, Hassam giunge a Latina, attratto dalle tanta opportunità di lavoro agricolo nella pianura pontina. A distanza di quasi dieci anni, Hassam è riuscito ad integrarsi perfettamente nel tessuto sociale e dal '93 ha un'impiego fisso al centro Al Karama, di cui è l'unico responsabile.
Il suo è un posto di grande responsabilità che spazia dalla sorveglianza all'amministrazione passando anche per la conoscenza delle norme italiane in materia d'immigrazione, visto che a lui spetta denunciare in Comune la presenza al centro dei nuovi arrivati. Per nulla intimorito dal registratore e a suo agio con l'italiano, ci facciamo descrivere la giornata-tipo di un immigrato al centro d'accoglienza: "gli ospiti, che vengono tutti dal Nordafrica, iniziano la loro giornata con la ricerca di un posto di lavoro nei dintorni, per lo più nel settore agricolo. Anche i cittadini richiedono manodopera e ci danno una mano, tanto che fino ad oggi non abbiamo avuto nessun problema ed anzi ci siamo abbastanza integrati; l'anno scorso c'è stata una festa etnica tra tutte le comunità presenti che ha coinvolto anche la popolazione locale. Nel tempo libero facciamo una partita di calcio, o una festa religiosa utilizzando una piccola moschea qui al centro. Adesso è tempo di ramadan e pensiamo a mangiare tutti assieme, anche per venire incontro ai meno fortunati".
Nel centro ci sono solo uomini che hanno la propria famiglia nei paesi d'origine: avrebbe avuto poco senso accogliere gruppi familiari, lasciando senza un tetto il grosso degli immigrati, per i quali il primo dei problemi, oltre al lavoro, è proprio la ricerca di una casa. In sei anni di vita, la giovane struttura ha ospitato più di duecento persone che, dopo una breve permanenza, hanno cercato fortuna altrove ed alcuni di loro mantengono vivo il ricordo di Al Karama, inviando lettere di ringraziamento allo stesso Hassam.
Ma qual è l'aspirazione di Hassam e degli altri immigrati? "Tutti vogliamo tornare un giorno nel nostro paese, siamo qui per crearci un mestiere che poi ci sarà utile in futuro. L'immigrato è qui per acquisire un'esperienza ed aiutare i propri connazionali".


 
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