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La Parola di Vita


luglio 1998

«Venga il tuo regno»
(Mt 6, 10).


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Quante volte nella vita ripetiamo queste parole! Sempre allorché si recita il Padre nostro, la preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato.
Egli infatti è venuto ad annunciare che il regno di Dio è vicino.
Ma questo regno non è uno stato o un luogo appartenente ad un altro mondo. È un avvenimento che si deve attendere per la fine dei tempi, quando Dio manifesterà in modo pieno e per sempre la sua sovranità, spezzando il dominio del male ed inaugurando un mondo nuovo.
Ma Dio non interverrà con la sua regalità solo allora.
Già con la sua venuta sulla Terra Gesù ha vinto il male. Ed è stato con la sua passione e resurrezione che ha trionfato su di esso, inaugurando nel suo corpo la nuova creazione.
La preghiera «venga il tuo regno» non giustifica allora una fuga dal mondo per aspettare il regno futuro, ma ci coinvolge nella nostra esistenza presente.
Non possiamo formulare queste parole senza dir di sì a Dio. E con ciò ci inseriamo nel disegno che lui ha sull'umanità intera e lo facciamo nostro.

Dio vuole regnare non solo nel singolo, ma nella collettività, fra di noi. Allora si realizzerà la fraternità vera, e l'unità fra tutti, chiesta da Gesù al Padre prima di morire, sarà una realtà.
Per preparare questa unità dobbiamo adoperarci perché Dio regni nelle nostre famiglie, nelle aule scolastiche, nelle aziende, nelle nostre riunioni, nelle università, negli incontri sociali e politici.
Questo nuovo rapporto con Dio e fra noi, che Cristo ha portato sulla Terra, sarà la migliore testimonianza dinanzi al mondo che il regno di Dio è presente e che il male può essere vinto.



«Venga il tuo regno»

Non è stata una preghiera vuota quella che il dottor Alfred pronunciò con la sua vita in una dolorosa circostanza.
Spiccata personalità, direttore di un'azienda con più di cento dipendenti, aveva imparato ad accogliere il regno di Dio come un bambino. Certo non si aspettava un infarto cardiaco quel mattino, quando si era svegliato d'improvviso ansimante! Sembrava che gli restassero pochi minuti di vita. Nonostante i forti dolori era rimasto nella pace. Raccolte le poche forze, rivolto alla moglie, le aveva detto: «È tutto amore di Dio. Si tratta di fare solo la sua volontà», di sottomettersi quindi alla sua regalità. «Sono grato a Dio di esser vissuto su questa terra, nonostante le mie mancanze». Poi aveva parlato alla figlia, raccomandandole di cercare nella vita sempre e sopra ogni cosa il regno di Dio.
Dopo quattro ore di cure e tentativi vari era stato ricoverato nel reparto di rianimazione dell'ospedale. Sul suo volto, a tratti sfigurato dai dolori, si scorgeva un sorriso dolcissimo che rivelava la gioia celeste di cui era invaso. Gli infermieri dell'ambulanza se ne erano accorti. Uno di loro disse di non aver mai visto un morente così.
Dopo pochi giorni il pericolo più grave era passato. Ma il dottor Alfred non aveva cessato di creare con gli otto compagni di stanza rapporti nuovi. Fra tutti aveva portato quel clima di cui egli viveva. Tornando a casa, poi, scoprì di aver detto addio a questo mondo e ritrovarlo ora completamente nuovo: un posto nel quale bastava unicamente fare la divina volontà. E sentiva nell'animo il timbro incancellabile della vicinanza di Dio, che il regno porta con sé.


Chiara Lubich


Il presente commento ad un brano tratto dalla liturgia del mese e proposto per informare la vita quotidiana viene tradotto in 84 lingue e idiomi, e raggiunge oltre 14 milioni di persone in tutto il mondo, attraverso stampa, radio, televisione ed internet. Viene anche pubblicato sul periodico Città Nuova.

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